Rita Tekeyan Manifesto Anti-War (2015)

manifestoantiwar-500x496-150x150Forza espressiva, sonorità e ricerca vocale fanno di Rita Tekeyan un’artista che non produce solo musica…ma anche cultura, anzi Cultura. 

Di questi tempi si parla spesso, nel citare quanto ci accade intorno, di guerra, di violenza, di bombe umane che portano ovunque la morte. Questi fatti siano o no legati a una specie di guerra religiosa (o santa) in nome di un Dio che non si sa quale disegno abbia, non ci distoglie dalla nostra convinzione che la cura dell’anima attraverso la musica è il mezzo più efficace per sentirsi liberi di esprimere i propri sentimenti, le proprie idee ed opinioni.

E questo è quanto accade anche a Rita Tekeyan che con il suo album di debutto Manifesto Anti-War ci riporta in un sonoro che già conosciamo bene come quello dei Radiodervish.

Il fatto che la sua sia poi la martoriata terra del Libano, la dice lunga su quali siano le sue idee sonore; ricerca musicale con sfumature di tradizioni popolari che non sono andate perdute nonostante la violenza subita dalla terra, nonostante la multi religiosità della popolazione fatta di cristiani, greco-ortodossi, greco-cattolici, armeno-apostolici, armeno-cattolici, siriaco-ortodossi, siriaco-cattolici, protestanti, copti, assiri, caldei e cattolici ma di rito latino; ed ancora fra i musulmani i sunniti, gli sciiti, gli ismailiti e le comunità alauite e druse oltre quella ebraica.

Il suo progetto raccoglie pezzi di memoria messi insieme, ma non in un ordine preciso, pezzi che producono suoni, rievocano immagini e stati d’animo, quasi una sorta di risveglio da un’amnesia durata troppo a lungo, immagini vissute (nelle canzoni) tramite gli occhi di una bambina, immagini che nessuna tv metterebbe mai in onda perché a nessuno interessano i sogni ed i pensieri di una bimba libanese.

Il suo progetto è un tributo a coloro che hanno sacrificato la propria vita per la verità, per il rispetto delle origini e della propria terra, un vero e proprio manifesto contro la guerra, i genocidi, e potremmo anche liberamente aggiungere gli attentati terroristici che insanguinano oggi le nostre terre.
E non è un caso se proprio il brano che da il titolo a questo lavoro, Manifesto Anti-War inizia il suo percorso con una poesia di Charles Baudelaire che racconta l’ingresso dell’umanità nel mondo della guerra e del terrore.

In questo lavoro c’è una compattezza tra voce e pianoforte che “ci fa ripiombare in un’ambientazione gothic-dark che rimanda a mostri sacri come la tedesca Nico o la greca Diamanda Galas” (lo dice Valerio D’Onofrio). E potrei anche essere d’accordo, ma fino ad un certo punto perché se su Diamanda Galas potremmo essere d’accordo, su Nico, io, personalmente, lo sono un po’ meno. E comunque, paragoni a parte, Rita Tekeyan è portatrice con questo lavoro di un messaggio attuale, un NO convinto alla guerra, come c’è un NO convinto al genocidio (come ad esempio di quello del popolo armeno).

Se il brano di apertura “La Mort Des Amants”, come dicevamo prima, ha scomodato perfino Charles Baudelaire, con “Green Line” sembra di trovarsi di fronte il canto del cigno in una ballata tristissima che è il risultato più diretto della sofferenza provata dalla guerra. Con “Yes Kou Aperet”, pura poesia scritta dal nonno paterno della Tekeyan, si assiste invece a pennellate di dolore, un dolore dilaniane, unico, senza ritorno. Traccia questa estratta dal poema originale di Avedis Tekeyan (suo nonno) intitolato “The tragedy of Armenians of Behesni (1914-1918) dedicato al genocidio del popolo armeno, pubblicato in Beirut nel 1956.
“Deep Dark Well” merita un considerevole plauso per la voce semplicemente “splendida” della libanese mentre “Manifesto Anti-War” è la traccia che ti esplode davvero dentro perché rappresenta un grido rabbioso e di disperazione contro la guerra ed i genocidi.

In tutto questo contesto di opposti vibra la splendida vocalità di un’artista votata ad un futuro che non ha confini.
Aspettiamoci di tutto ed io personalmente mi auguro si continui su questa strada di ricerca storica e sonora. Di questi tempi è difficile trovare in giro produzioni musicali che siano anche “cultura”.

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