Jethro Tull: Aqualung

aqualungAqualung,abbietto e diseredato protagonista dell’album più ispirato e controverso di una delle formazioni britanniche fra le più originali: i Jethro Tull. Uscito nel 1971, proprio allo sbocciare del progressive rockAqualung strutturalmente più complesso e ritmicamente variegato ed irregolare, spiazzò e sconcertò una critica abituata alle sonorità folk rock e blues dei precedenti This was”, “Stand up e Benefit, ottimi prodotti che non lasciavano di sicuro presagire l’avvento del raffinato ed esplosivo Aqualung”.

Libero dalle opulente e cervellotiche elucubrazioni del prog,acuminato negli arrangiamenti filtrati’hard-rock, al folk fino alla tradizione classica, l’opera fu testimonianza di inaspettata maturità musicale e stilistica, forse l’apice nella carriera dei Jethro Tull, se si esclude l’indimenticato Thick as a brick.

Il tormentato e ancestrale rapporto fra uomo e religione, fra dubbio, menzogne e fede impastata alla condizione dei miserabili, degli emarginati striscianti nei bassifondi della società è il cardine di questo quasi-concept; il celeberrimo attacco della title-track, un riff di chitarra potente ed incisivo, aprirà il magistrale sipario sulla storia del clochard Aqualung e il cantato di Ian Anderson, in un’impareggiabile alternanza di graffiante corposità ( rilevante nell’intiera sezione ritmica) e di filtrate, nostalgiche lontananze acustiche, dedicherà al reietto parole di commiserazione, in un freddo dicembre che trascorrerà come al solito, su una panchina.

Il tableau successivo, rugginoso negli arrangiamenti, è quello desolato di “Cross-eyed Mary”, pietoso ritratto che l’entrata superba di un vibrante e intensamente ascendente flauto traverso, dipinge di Mary la strabica, prostituta dal cuore d’oro momentaneamente attratta da Aqualung; ritmi spezzati e rapidi, vocals volutamente sgraziate ed aspre, flauto insidioso e squisitamente 70’s, ne fanno un paragrafo rabbioso e infuocato nella sua forza dirompente.Irruenza sopita repentinamente dalla delicata “Cheap day return”, brevissima e acustica riflessione folk per voce e chiatarra, pausa meditativa dalle vicende del disgraziato protagonista che prolunga il mood in “Mother Goose”:

Percussioni di sfondo, cantato pulito ed ondeggiante in un insieme di immagini e sensazioni acustiche senza un preciso filo conduttore.L’assetto folkeggiante viene ulteriormente bilanciato e confermato dalla ballata “Wound’ring aloud”, contemplazione romantica di coppia addolcita da archi, pianoforte e flauto.Ma l’armonia si adagia per qualche istante ancora, l’anima quieta e sogna per pochissimi minuti, il tempo che la sacra triade di flauto, pianoforte e basso concederanno per precipitare nella splendidamente sardonica “Up to me”,con un Anderson irresistibile e intenso nel narrare agre vignette fra toni e semitoni acustici ed elettrici. Ma l’andamento quasi popolaresco che si è andato delineando verrà soffocato dalla coltre plumbea della mini-suite “My God”, invettiva cruda e satirica contro l’ipocrisia del Cristianesimo, lontana dagli intenti del Cristo risorto, piegato e assurto ad elemento di manipolazione sociale “..made Him bend to your religion,Him resurreceted from the grave-.. He’s the god of nothing if that’s all that you can see..”.

La tramatura mistica e oscura nell’intro acustico per voce, chitarra e piano, cederà al fraseggio taglientemente hard-rock ad opera del chitarrista Martin Barre, per seguire il ruvido cammino intrapreso; è un inarrestabile susseguirsi di mutamenti di tempo e di geniali, stralunati assoli di flauto che leviteranno la composizione in caratura e pathos fino ad esondare in una straordinaria reinvenzione flautistica in bilico fra folk, prog e classicismo delle atmosfere prossime ai Carmina Burana, rinvigorite da corali, memori del medioevo religioso più torbido. Poi, come un refrain, si ritorna circolarmente nell’irriverente polemica d’apertura.Composizione favorita di Anderson, “My God” doveva, all’inizio, titolare l’intero album, ma un bootleg eponimo di ottima fattura immesso sul mercato fece ripiegare su “Aqualung”.

Il brano restò comunque il più richiesto ed applaudito durante i concerti, segnando non solo all’interno dell’opera ma anche nel percorso stilistico del gruppo, un punto d’arrivo (e anche di partenza), agendo da spinta propulsiva alla successiva diversificazione melodica di stampo prog all’interno del medesimo pezzo e ad una maggiore articolazione, ampliamento e ispessimento degli arrangiamenti, senza tuttavia superflue ridondanze ( come nel già menzionato Thick as a brick o nel bellissimo “Minstrel in the gallery).”Hymn43”, sorta di coda blues-rock di “MyGod”, smorzatane la tensione, continuerà la corpulenta apostrofe anti-clericale nelle liriche incendiarie.. “If Jesus saves-well, He’d better save Himself from the gory glory seekers who use His name in death”.

Brevissima, pochissimi attimi di acustica ironia sulla morte cristiana, “Slipstream”, quel che basta per essere travolti da”Locomotive breath”; fra Liszt e il jazz, accordi di pianoforte tesserano la membrana sincopata hard-rock/blues, densa nel pingue basso e negli stop subitanei delle drums.

Eccelso Ian Anderson in vocals e inossidabile flauto traverso, istrionicamente accompagnerà il beffardo, disperato respiro di una locomotiva senza freni.” Wind up”, ballad dal progressivo irrobustimento dei patterns, chiuderà l’ultimo atto della diatriba religiosa, tirandone pungentemente le ultime somme: dalla santocchieria di un cattolicesimo falso e distorto, strumentalizzato quale mezzo di coercizione e controllo, allo sprezzo e al vituperio da parte di coloro che come Aqualung, il perbenismo bigotto e codino della piccola-borghesia chiamano falliti “..How do you dare to tell me that I’m my Father’s son when that as just an accident of Birth”.

Le acri parole sputate sui baciapile e su un dio fasullo spegneranno le luci della ribalta sulla tragicommedia diAqualung. Indiscutibilmente il capolavoro dei Jethro Tull, l’album restò e resterà sempre nella storia non soltanto del rock, ma anche di quella musicale del gruppo, tutt’oggi a all’attivo, seppur ormai lontani dai fasti e dalle apoteosi che raggiunsero nei primi anni ’70, tanto da proporre ancora, nelle loro esibizioni, gran parte del repertorio di Aqualung.

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