Patti Smith – Horses

patti1975, gli anni ’60 sono finiti da poco anche se si possono ancora vedere degli hippie per le strade, e gli ideali di pace e amore non sono ancora del tutto morti. D’altra parte però anche gli anni ’80 si fanno prossimi. Se da un lato i virtuosismi barocchi del progressive-rock non sono ancora cessati, dall’altra parte un certo country rock, ( vedi Neil Young) va per la maggiore, insieme agli ultimi residui di hard-rock.

Ma in mezzo a tutto questo si muove qualcosa di nuovo, qualcosa che contribuirà a rigenerare la musica, un suono che grazie agli Stooges, il cui ultimo album era uscito da due anni, si preparava a divenire dominante nel prossimo futuro.

Horses  in tale contesto rappresenta un vero e proprio spartiacque tra il nuovo ed il “vecchio”: pur reinterpretando l’elemento già consolidato delle figure maledette del rock (Morrison,Hendrix…), l’album è il preludio sensazionale di ben due nuovi generi, il punk, per quanto riguarda il timbro vocale roco e l’interpretazione aggressiva, e la new wave, per ciò che concerne il suono

Il pianoforte sommesso di Richard Sohl (ancora nulla di rivoluzionario) apre la prima traccia, Gloria, una cover dei Them, già ripresa anni prima da Jim Morrison. Ma ecco che la voce di Patti Smith irrompe roca, trascinata qualcosa di nuovo,  una voce punk! La chitarra ora compone un motivo che potremmo definire “sixties”, ma presto il ritmo aumenta di velocità, facendosi sempre più trascinante. La velocità aumenta ancora, dando il via a quel ritmo scomposto e frenetico che sarà tanto caro alla nascente new wave. Si tratta di rock’n’roll, certo, ma come già detto è l’interpretazione a cambiare: più violenza, più velocità…punk-wave? Sicuramente Gloria è un inno all’innovazione, impossibile non rimanerne folgorati!

Segue a nastro un altro pezzo sensazionale, Redondo Beach, un reggae rock il cui ritmo allegro e spensierato nasconde un testo tutt’altro che solare: si parla infatti di un suicidio. La desolazione e la cupezza dei testi della Smith sono un’altra caratteristica che sarà comunemente accettata dai wavers che verranno.

Ecco che Birdland, una suite di piano, voce e chitarra, dal testo nuovamente poco solare, aggiunge a tutto ciò che abbiamo finora sentito quelle qualità poetiche che Patti Smith sa padroneggiare alla perfezione. Decisamente toccante il piano, e veramente apprezzabile la voce della cantante, che si allontana dal timbro roco precedente, alternando parti recitate ad altre cantate con enfasi lirica. La chitarra rimane in secondo piano, pur essendo di fondamentale importanza per la costruzione del brano: ma è soprattutto la bellissima voce di Patti Smith ad essere al centro dell’attenzione. Il pezzo si fa sempre più estremo e sperimentale, tra accordi di piano impazziti ed accordi di chitarra distorti e abrasivi che rendono questi dieci minuti di ascolto davvero intensi.

È sempre un piano ad introdurre la quarta traccia, Free Money, sorretto da un solido giro di basso. Ma le chitarre sopraggiungono per dar vita ad un pezzo rock di grande presa. Gli accordi si fanno ancora una volta velocissimi, la voce rimescola punk e lirismo, il tutto per un sound pienamente new-wave.

Kimberly, con le sue linee melodiche, costituisce ancora un manifesto della musica a venire: un basso deciso sorregge il tutto, accordi di chitarra e tastiere ci fanno dondolare la testa, e la batteria, con il suo battito regolare, segna il tempo con precisione.

Break It Up è una bellissima ballata, dove spiccano gli accordi cristallini di chitarra dell’ospite Tom Verlaine, che ritroveremo in Marquee Moon dei Television nel 1977, e un grande Ivan Kral con i suoi giri di basso fantasiosi e precisi.

Ecco che però arriva il capolavoro dell’intero album, Land, suite divisa in tre parti: HorsesLand Of A Thousand Dances e La Mer(De).

Il primo momento vede la voce della Smith lanciata in un crescendo in cui si inserisce presto la chitarra, che sfocierà poi nel pezzo rock più coinvolgente di Horses. Bisogna per forza muoversi quando il basso parte con la sua splendida espressività, impreziosito dall’immancabile pianoforte. “Go Rimbaud! Go Rimbaud!” urla Patti, invocando uno dei suoi idoli, che starà sicuramente sorridendole, ovunque sia. L’ultima parte della suite si addolcisce, portando la voce in primo piano a vagare tra i suoni degli strumenti in sottofondo, con alcuni energici ritorni di fiamma, che non ci fanno dimenticare la violenza di questa punk ante-litteram. Al nono minuto il basso esala i suoi ultimi respiri e ci lascia soli con voce e batteria, entrambe destinate a spegnersi per aprire Elegie, l’ultima traccia.

Basso e piano si intrecciano per dar vita ad un altro toccante pezzo, con la chitarra che ulula delicatamente in lontananza. La voce riesce ad essere nello stesso tempo una voce di altri tempi e qualcosa di innovativo, in particolare grazie al contesto particolare in cui si trova inserita.

Il disco si conclude così, con questo breve lamento, all’improvviso. Questi otto brani sono però sufficienti ad inaugurare un nuovo periodo musicale, da qui ad un paio di anni infatti niente sarà più come prima…

Anno 1975

  1. Gloria
  2. Redondo Beach
  3. Birdland
  4. Free Money
  5. Kimberly
  6. Break It Up
  7. Land: Horses/Land Of A Thousand Dances/La Mer (De)
  8. Elegie
  9. My Generation (Bonus Track)

Casa discografica Arista

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