Alice Cooper – From The Inside

From-The-InsideSono molti gli artisti rock che hanno realizzato album sulle loro vite o su argomenti comunque legati al loro essere, ma mai qualcuno aveva tirato fuori un concept album da un’esperienza di ricovero per alcoolismo.

Sarà stato che o l’alcool, o il ricovero, o entrambi abbiano potuto influire sulle capacità mentali di questo artista, ma la natura autobiografica di From the inside realizzato da Alice Cooper, si nota eccome.

In From the inside,  Cooper racconta l’esperienza del ricovero per disintossicazione con storie di  personaggi realmente conosciuti in clinica, e di come sia riuscito poi ad uscirne vittorioso da quella dura prova.

Ma se da un lato è apprezzabile il tema cardine del disco così come i brani che lo compongono, tutto il resto sembra imposto anzi, come calato dall’alto, quasi a intrappolare Cooper nella concezione di se stesso in quel particolare periodo.

In questo album, nato da un’esperienza di alcool vissuta sulla propria pelle, troviamo il Cooper disintossicato che racconta del desiderio di voltare pagina, un album in cui vengono affrontate tematiche quali la pazzia, la dipendenza e la depressione portate dall’abuso di alcool.

Il disco è realizzato grazie alla collaborazione del fido e grande chitarrista di Lou Reed, Dick Wagner e, con esclusione di Fred Mandel alle tastiere, tutti gli altri componenti della band sono volti nuovi. Ed è probabile che ciò faccia parte di un progetto di “cambiamento” ben più ampio.

From the inside è un album studiato e realizzato nei minimi dettagli, compresa la copertina, e questo cambiamento lo si denota anche nei brani che partendo dal funky di From the inside, brano di apertura che dà poi il titolo all’album, passa al rock duro e crudo di Wish I Were Born In Beverly Hills per poi calare con la ballata The Quite Room.

Questo From the inside di Cooper contiene un po’ di tutto, almeno musicalmente parlando: si va dal funky al rock, al soul fino a tal punto che armonicamente parlando l’album oltre ad essere completo è sopratutto piacevole da ascoltare.

La chiusura poi è davvero sublime: Inmates (Were all Crazy), anche se tratta il tema dello squilibrio mentale, si apre con un bel suono di pianoforte accompagnato da un’orchestra che pian piano si disgrega fino a scomparire alla presenza di un tema d’archi, inusuale per uno come Cooper.

E qui ci viene il dubbio: “ che la sua sia stata una pazzia governata per produrre un così bel lavoro?”.

Ora, come dicevamo all’inizio di questa nostra recensione, ci siamo convinti ancor di più che solo uno come Cooper poteva realizzare un tale album.

Ma era proprio necessaria l’esperienza dell’ospedale per disintossicarsi e tornare ad essere ancora grande?

Forse si, forse solo alle rockstar spettano tali passaggi; da questa trafila ci son passati in molti, solo per citarne alcuni Lou Reed e David Bowie.

Sarà, ma nonostante tutto restano i grandi del rock, quelli che come dice un noto artista italiano “non devono chiedere mai”. E gli ultimi due non hanno chiesto nemmeno di andarsene da qui. E nemmeno Alice Cooper sembra essere uno capace di chiedere.

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