Jethro Tull – A Passion Play

A Passion Play è stato uno degli album dei  Jethro Tull che sin dalla sua pubblicazione, 6 luglio 1973, fu estremamente criticato come era accaduto anche al precedente Thick As A Brick. Nonostante le critiche negative e le recensioni spesso non entusiasmanti dell’epoca, questi due album dei Jethro, permisero al gruppo di entrare, a tutti gli effetti, nell’olimpo delle band progressive, anche se la loro era comunque una musica che marcava il confine tra il progrock ed il folk. Al contrario di Thick As A Brick, A Passion Play è una produzione dove i testi dominano grazie alla loro austerità e serietà, testi che pongono l’accento sul tema della vita e della morte. L’album ha inoltre una serie di analogie che potremmo definire interessanti e che marcano il 1973, anno di uscita del disco: innanzi tutto vi è una sorta di somiglianza nell’intro del lavoro che si apre con un battito cardiaco, che sembra quasi richiamare i conterranei Pink Floyd, ma l’approccio è però ben diverso, ed infatti, mentre l’intro dei Pink Floyd sfocia nella chitarra di Gilmour, A Passion Play apre con una specie di parata che immetterà in un non racconto intriso di parole e citazioni. A Passion Play, realizzato con una formazione completamente diversa, segue il protagonista dell’opera che, scomparso durante il suo viaggio attraverso la morte incontra Dio e il diavolo in un richiamo a quell’Inferno di Dante o Paradiso perduto di Milton. Qui però il percorso è ripensato come uno spettacolo teatrale tenuto insieme da momenti satirico-umoristici e digressioni che irritano. Quello che appassiona di più di questo lavoro dei Jethro è la capacità di sapersi distinguere dal progressive etichettato, un prog che qui viene proposto con esasperanti riff strumentali, passaggi densi e ricchi di sintetizzatori usati dal gruppo per la prima volta, con il flauto di Anderson che si propone con un suono quasi cosmico. Questa digressione o riflessione sonora, ci porta perciò ad affermare che la musica qui proposta dalla band è complessa ed articolata, da “intenditori”, ben lontana dalla regalità progressive prodotta da altre band quali Genesis, Yes o E.L.&.P., una musica che va anche oltre le radici degli stessi Jethro che sono molto più vicine al blues rock. A Passion play è il lavoro dei Jethro dove le tastiere sono in primo piano, mentre l’uso del flauto traverso da parte di Anderson è ben più limitato rispetto alle precedenti incisioni per fare spazio anche al sassofono, strumento che in molti passaggi si renderà in perfetta sintonia con i restanti strumenti. Ma ciò che colpisce di più in questo lavoro è la mancanza di melodie alle quali il gruppo aveva abituato i suoi fan, anche se un ascolto ben più attento e meno marginale mette in evidenza un lavoro ben congegnato, scritto con intelligenza e stile esecutivo. Le parti di base dell’album sono state realizzate in Francia, dove il gruppo si nascondeva durante l’esilio fiscale un espatrio che non fu mai un segno di avidità, e che mai più, successivamente, fu ripetuto, grazie soprattutto alle idee a cui il leader Anderson aveva sempre fatto riferimento. Una situazione questa che aveva negativamente influito anche sull’umore generale del leader che lo portava a stare male, un frangente al quale, poi, si era aggiunta la distruzione di tutti i nastri registrati e che portò la band a rientrare in Inghilterra, dove alcuni di quei nastri perduti furono ri-registrati anche con l’aggiunta di nuovo materiale. Come suggerisce il titolo, questo lavoro assomiglia, attraverso il giocare tipico della band con argomenti seri, alla passione religiosa più conosciuta dove vengono raffigurate la morte, l’ascensione al cielo, e la reincarnazione, con un intermezzo che separa le due metà del lavoro. A Passion Play è un disco tenebroso, intellettualistico, articolato, misterioso. Un’unica suite spezzata sulle due facciate e interrotta da una specie di gioco teatrale, recitato e non musicato, un album nato sotto uno stile diverso dall’impronta Jethro che conosciamo, un lavoro che assumerà nel tempo il ruolo “decadente” del classico progressive britannico. Come Tick As A Brick questo nuovo album, pur nella sua ristrettezza temporale (quaranta minuti circa) è ambizioso, un vero e proprio gioco teatrale e forse anche eccessivamente pretenzioso. La presenza di suoni acustici e morbidi, i timbri del pianoforte e delle tastiere sempre giocose e gioviali, la frenesia con cui si presenta il flauto e la voce appassionata si intrecciano strettamente per tutta la suite, realizzando così alcune delle melodie più belle dei Jethro Tull. Ian e la sua band scelgono di realizzare un disco da un tono un po ‘più cupo e scuro (pur mantenendo la loro spensieratezza tipica), ma a parte questo, la scrittura rimane sostanzialmente immutata, o quasi, rispetto alle precedenti produzioni anche se qui, le parti di cui si compone il disco non sono orecchiabili ma hanno bisogno di tempo per essere assimilate. A Passion Play in certi momenti sembra rasentare a volte la noiosità, ma l’interludio che divide la composizione in due metà, fornisce una pausa spensierata di brillantezza dando all’ascoltatore il tempo necessario per comprenderne il senso. Senza questo breve intervallo, l’album sarebbe diventato un peso che avrebbe stancato anche il più incallito dei fan. Di sicuro c’è che gli eccessivi e grandiosi arrangiamenti orchestrali accompagnano enfaticamente un semplice racconto dove lepri, gufi, e tritoni, sono protagonisti di una “favola” che racconta il passaggio triste e consumato di un’intera vita. Il LP nel suo complesso si presenta serio, concettuale, un po’ troppo forse; eppure pur nel sembrare quasi eccessivamente opprimente e spesso senza meta, A Passion Play merita quell’attenzione che, purtroppo, di solito, ha ottenuto di rado. Gli appassionati di progressive dovrebbero ascoltarlo almeno una volta perché il disco, comunque, rappresenta un passaggio obbligato. Su A Passion Play la critica si è sempre divisa, come divisi lo sono sempre stati anche i fan dei Jethro; questo disco può o non può piacere, lo si può etichettare o no, lo si può criticare o lasciarselo passare davanti indifferenti, nonostante ciò resta, a nostro avviso, una produzione concettuale che solo una mente come quella di Anderson poteva, ancora una volta, realizzare. E la passione continua…….

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