Jethro Tull – A

1980. Ian Anderson lavora ad un progetto di album personale reclutando nuovi musicisti tra i quali Eddie Jobson che oltre ad aver suonato spesso con i gruppi di spalla nei concerti degli stessi Jethro, aveva avuto in passato esperienze con nomi del calibro di Frank Zappa e Roxy Music. Ma all’interno della band erano sorti problemi che ancora non si erano attutiti e che presagivano ad una soluzione catastrofica. Tuttavia la band era giunta a compimento del lavoro che aveva assunto il semplice titolo di “A”. Il percorso del disco era stato anticipato da un buon assetto della band tanto che il lavoro venne realizzato nel breve giro di due sole settimane di registrazioni. Pur non ottenendo il successo di alcune precedenti produzioni, A presentava dei notevoli sviluppi nel sound. Eddie Jobson non si è, né tanto meno è mai stato considerato un membro ufficiale della band inglese, ma la necessità di lavorare, come lo stesso Jobson definì il modo dei Jethro, in maniera frugale ma ben organizzata fece si che il suo inserimento avvenisse in modo davvero efficace ed a ciò giovarono molto le sue precedenti esperienze. Ma vicino ad Anderson apparvero per questo lavoro il fido Martin Barre alle chitarre, naturalmente Eddie Jobson alle tastiere ed al violino elettrico, Dave Pegg già in passato con i Fairport Convention e Mark Craney alla batteria che si meriterà poi l’appellattivo del miglior batterista che abbia mai militato nei Jethro. A tende a segnare un nuovo modo di essere dei Jethro, anzi di Anderson, ma lo fa in un modo che non soddisfa poi molto; in fatti Anderson qui si butta nella sperimentazione elettronica portando la band ad allontanarsi un po’ dal genere che aveva caratterizzato per anni il sound della band. Nonostante ciò A può anche essere considerato un concept album, infatti, A sta per “Alert” quando questo segnale viene visualizzato sugli schermi dei computer in occasione di una (ipotetica) guerra nucleare ereditando così quel messaggio fatto arrivare con Stormwatch quando lì si trattavano temi quali la fine della civiltà, l’umanità sempre in crisi profonda, il caos, lo sfacelo generale. Questa volta però tale concetto viene limitato solo all’interno di due tracce ma la cosa più interessante che si deve segnalare è il forte contrasto che si evidenzia tra il lato A ed il lato B dell’album. Il lato A è realmente molto lontano dalla genialità tulliana mentre il lato B è a dir poco completamente in ombra rispetto alle capacità compositive e sonore si di Anderson che dell’intera band. Nel lato A i brani sono resi interessanti come ad esempio Crossfire che è un pop-rock proposto con vocalità accattivanti, un brano che prende spunto da un fatto di cronaca avvenuto realmente mentre la band stava provando e cioè l’assalto all’ambasciata iraniana a Londra, un fatto che viene descritto da un brano quasi apocalittico. E la trama musicale di questo pezzo va quasi ad unificarsi con il successivo brano dell’album Fylingdale Flyer che si ispira ad un altro fatto di cronaca quando un problema tecnico avuto dagli americani nei loro sistemi di difesa saltò completamente facendo credere a tutti che gli USA fossero stati attaccati dai russi. In questo pezzo però i sintetizzatori avrebbero potuto non essere inseriti perché il risultato ottenuto non può essere equiparato a quello sperato. Infatti, in tale pezzo sembra che le melodie folk-rock di cui i Jethro sono maestri, si scontrino con una new wave ancora in gestazione. Questa situazione di fatto sembra porti ad inaugurare il periodo elettronico dei Jethro ma alla fine A sembra essere disordinato nonostante vi siano egregi tentativi di far attraversare al prog i nuovi suoni emergenti della nuova éra. Comunque sia A è stato pensato da Anderson e dai Jethro come un album che doveva essere diverso, qualcosa di dirompente e quasi una rottura con il passato, rottura partita con il cambio di molti musicisti nella band ma ache non ha saputo essere tale poi visti i risultati ottenuti dal disco. Riascoltandolo a distanza di tempo, questo disco sollecita solo (almeno questo è accaduto a noi) delle sensazioni sparse che solo la frenetica The Pine Marte’s Jig con cambi continui di ritmo e la complessità generale del pezzo hanno poi condensato in una soddisfazione per l’ascolto davvero latente. E comunque sia sembra proprio che i Jethro, al di là di improbabili sorprese, con questo album siano di fatto destinati a finire.

 

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