Jethro Tull – Stormwatch

Stormwatch è considerato il terzo e ultimo album di una trilogia di folk rock, iniziata dai Jethro Tull con i precedenti Songs from the Wood e Heavy Horses. Questa volta, il concept album è costruito intorno al tema della fine del mondo, quasi una sorta di premonizione della quale il gruppo si sta facendo portavoce. Il pianeta ha esaurito le risorse, tutto intorno è caos, un orso polare si prepara ad annientare una raffineria mentre un menestrello (?) osserva il panorama con un binocolo. Sembra quasi di trovarsi di fronte ad una naturale prosecuzione di quanto i Jethro avevano sviluppato con Songs From The Wood ma anche con lo stesso Heavy Horses. Qui però la musica è ….. tutt’altra musica. I principi popolari intrinseci nella band sembrano essersi volatilizzati a favore di un ritorno dei Jethro alla vecchia fase e Stormwatch è molto più effervescente. Lo dimostrano le tracce dell’album che fanno vedere quanto Anderson & C. siano in piena forma, tracce ricche di ritmica, potenza, ben costruite. A volte però, questo Stormwatch sembra essere monotono anche se poi alla fine dimostra tutto il contrario; certo, i dischi dei Jethro non sono da ascoltare un giorno si ed uno no, ma se ascoltati o riascoltati a debita distanza di tempo, ogni volta le sensazioni provate al primo impatto si confermano e fanno dimenticare quella monotonia di cui parlavamo prima. Questa produzione poi è collegata anche con un triste evento che colpì la band e cioè la morte di Glascock, il bassista, deceduto a causa di un’infezione, morte che portò il gruppo inglese a separarsi per una breve vacanza. Stormwatch mostra i primi segni della mancanza di creatività che ha sempre contraddistinto la band ed Anderson in particolare, i testi trattano temi anche di natura  “politica” quali il capitalismo ed il terrore di una catastrofe ambientale, ma nonostante questi incipit la commistione con la musica sembra ad un certo punto allontanarsi. L’album si presenta abbastanza oscuro e lo si capisce attraverso l’ascolto dei brani a volte nostalgici, a volte lamentosi. Il suono modificato di Stormwatch però mantiene i passaggi che hanno reso famosa la band e che comprendono flauti vivaci, intensi ed allo stesso tempo pregevoli, melodie acustiche dal sapore folk, piacevoli inserti di progrock per un mix che rende il tutto diverso dalle precedenti produzioni. Nonostante i mutevoli contenuti dei brani l’album resta comunque, interessante perché è la proiezione di uno dei lati oscuri del leader Anderson. Per capire più approfonditamente i passaggi di questo album uno sguardo ad alcuni pezzi in esso contenuti non guasta: North Sea Oil viene avviata da un bel rock più intenso di quello del solito suono Jethro, un pezzo dove la voce di Ian Anderson sembra mantenersi quasi a distanza dalla musica; Orion utilizza invece una varietà di suoni in poco meno di quattro minuti, ma non è esente da passeggiate rock che sfruttano al meglio i fraseggi folk di Anderson ed Evan; Home è molto vicino ad alcuni momenti contenuti in Songs From The Wood ma è anche abbastanza strano per essere una creazione di Anderson; Warm Sporran è invece la prima traccia prettamente strumentale che di fatto poi chiude il primo lato del disco, ma manca di quel sigillo tulliano che tutti conosciamo. Con Dun Ringill ed Elegy troviamo invece un utilizzo di eco che tende ad enfatizzare il suono prodotto a favore di una melodia sostenuta anche da una leggera presenza orchestrale. E sono proprio queste due tracce, forse, che salvano l’intero album prodotto. Ma se questi era un album realizzato con la solita ambiziosità di Anderson, il risultato alla fine è quello di essere un disco che è il terzo del binomio Songs from the Wood e Heavy Horses, un lavoro che di fatto conclude la cosiddetta trilogia della band ma che, a differenza dei primi due, manca di “solidità”. I Jethro, a questi alti e bassi hanno abituato il pubblico, i fattori esterni e le idee di Anderson sono anche qui presenti come sempre, ma tutto ciò non è sufficiente a far ottenere sempre il risultato sperato. Purtroppo a gravare su tutta la registrazione del disco l’atmosfera che si era creata nella band a causa dei problemi di salute del bassista John Glascock che morirà il 17 novembre. Nonostante tutto, il segnale lanciato qui dai Jethro Tull è che non bisogna mai mollare né soccombere ai mille problemi che la vita ci pone ogni giorno perché ….. è sempre la fiducia ciò che ci deve guidare, soprattutto quella in noi stessi. Da questo punto in poi per i Jethro Tull sarà poi tutta un’altra storia.

 

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