Roots To Branches

In questa tarda ed afosa ora della sera, star qui di fronte al computer con in sottofondo le musiche che compongono Roots To Branches dei Jethro Tull, è una sensazione che non può essere descritta a causa di quel condizionatore che ci picchia sulla nuca e ci permette di gustare meglio questa musica che ormai tanto ci appartiene avendo ascoltato l’album diverse volte. E proprio questo ascolto maniacale ci ha fatto capire quanto la band inglese abbia lavorato duramente per giungere ad un tal risultato che non ci lascia e non può lasciare indifferenti. Roots To Branches sembra essere nato per caso, nessuna concezione tecnico-artistica sembra trapelare dai brani che la band ci tramanda attraverso il cd, ma ciò che emerge con forza è la coerenza dei brani che confluiscono l’uno nell’altro solo nel modo in cui i Jethro Tull sanno fare. L’atmosfera che si respira è deliziosamente medioevale soprattutto nella prima metà del lavoro anche se l’apertura, affidata a Roots To Branches che dà poi il titolo dell’album, è data da una chitarra che porta sin da subito a quelle atmosfere delle quali parlavamo prima. Il brano convincente e seducente allo stesso tempo introduce al successivo passaggio di quel Rare And Precious Chains che anche se rallentata rispetto alla song precedente mantiene però la stessa linea rafforzata dall’inventiva delle percussioni per scivolare poi con l’aggiunta del coro verso un sound prog arabeggiante. Out Of The Noise, mentre sfoggia un pregevole sound jazz-progheggiante nonostante la sua brevità mette completamente fuori luogo la presenza della voce a favore di una musica che poi non è tanto male come mi è capitato a volte di leggere qua e là. This Freewill è invece un bel punto di forza che ci riporta ad altri brani andersoniani, ma stavolta qui il cosiddetto arabic-prog è il risultato di questa nuova linea armoinica tulliana, un pezzo che alla fine risulta però pesantemente progressive. Arriva poi il momento di Valley con il consueto folk sostenuto sagacemente da un bel progrock nella seconda parte del brano e di questo pezzo colpisce in modo particolare la seconda parte dove Ian sfodera una voce narrante che è davvero unica. Tralasciando Dangerous Vails della quale si può solo dire che è solo un bel pezzo spietato, giungiamo a Beside Myself che ci sembra davvero perfetto grazie ad una bella melodia ed agli arrangiamenti orchestrali che risultano davvero azzeccati con il flauto, le percussioni e tutti gli strumenti posti perfettamente al loro posto, giusto quanto recita lo spartito. Sicuramente Wounded, Old and Teacherous è davvero elaborata con una forte presenza di influenze zappiane, jazz-fusion ed una dolce atmosfera che la rende unica grazie anche ad un Martin Barre in piena forma che dialoga con il flauto di Anderson come solo lui anzi, solo loro sanno fare. Se poi credete che a volte i dischi possano anche emanare odori, allora giunge al momento giusto At Last Forever che contiene davvero energia allo stato puro nonostante la sua morbida intensità (ascoltate attentamente il pianoforte), un vero e proprio pezzo d’arte, quasi un dipinto ispirato da quella campagna inglese che i Jethro amano tanto. Gli ultimi due pezzi Stuck In The August Rain e Another Harry’s Bar chiudono i solchi di quest’album cui appartengono una serie di piacevoli momenti musicali che sono proposti con ogni canzone di Roots To Branches. Sarà che la musica dei Jethro nonostante le sue continue evoluzioni ed i suoi alti e bassi alla fine si conserva e si preserva, sarà che una volta tanto, nonostante i pezzi siano tutti attribuiti al solito Anderson, il gruppo qui è capace di farsi sentire ed apprezzare per quanto vale, ma Roots To Branches resta comunque un piacevole lavoro, non del tutto entusiasmante, piacevole e gradevole sicuramente. Provare per credere.

 

 

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