E.L.&.P. Black Moon

L’undicesimo album in studio degli Emerson, Lake & Palmer, pubblicato nel 1992, è il disco che riporta la band in sala di produzione dopo che la stessa era rimasta inattiva dall’uscita di Love Beach pubblicato nel 1978. Ispirato a quella che fu la dirompente Guerra del Golfo, anche la musica presente in quest’album richiama la guerra scatenata da Saddam, e a Lake l’ispirazione dell’album, e del brano da cui ne prende il titolo, venne mentre assisteva ad alcune scene trasmesse in tv dei pozzi petroliferi in fiamme nell’Iraq del dittatore, che trasformavano la luna facendola diventare nera, Black Moon appunto. E così come la guerra è confusione totale e crepitìo di armi, anche qui batteria, sintetizzatori e basso non fanno altro che imitare quell’ecatombe che molti di noi hanno vissuto in diretta video. In Black Moon gli Emerson, Lake & Palmer si adattano a quella che è l’ondata musicale del periodo, un pop che il trio sa trasformare in un prog anomalo, molto influenzato proprio dal pop, e che dimostra quanto ancora i tre stessero cercando di uscire fuori dagli ultimi lavori che non avevano funzionato come agli albori. Infatti, se si ascolta con attenzione dal primo all’ultimo brano di Black Moon, a volte sembra che i tre musicisti siano lontani mille miglia dalle loro migliori performance strumentali, anzi, sembrano addirittura perdersi, quasi a  non volersi incontrare strumentalmente. Nonostante ciò però, con questo disco, gli E.L.&.P. tentano di rimettersi a nuovo spogliandosi del vecchio progressive anche se in Black Moon è comunque possibile trovare alcune analogie con un loro vecchio lavoro passato alla storia, Trilogy. Nonostante tutto però, in questo lavoro di ritorno esistono delle buone cose: ad esempio, Paper Blood, secondo pezzo, ha una lirica abbastanza interessante e musicalmente piace, anche se diventa piacevole solo dopo qualche ascolto, Affair Of The Hearts ha molto del sound Asia ma, nonostante ciò, i tre fanno capire che gli E.L.&.P. sono sempre e comunque ottimi strumentisti, musicsti che hanno, in qualche modo, cambiato il progressive … e non solo quello. Infatti, proprio lo stile della chitarra acustica suonata da Lake riporta indietro nel tempo e pone questo brano tra uno dei migliori dell’album. E comunque delle annotazioni in positivo vanno sicuramente fatte anche per questo lavoro: se da un lato il ruolo di Palmer, qui, sembra essere marginale agli altri due musicisti, Emerson invece detta la sua con il ritorno in primo piano di un Hammond ineguagliabile come solo lui sa padroneggiare. E non è forse stato così anche per altri lavori? Infatti Black Moon se ascoltato con attenzione, suona allo stesso modo dei classici della band, magari un po’ più frammentato a causa di pezzi stile pop quali Changin States o Romeo And Juliet, energici come tanti altri brani scritti dal supertrio, ma ad ogni modo passaggi nei quali Emerson fornisce quella  base essenziale allo sviluppo della musica, così come lo è sempre stato nei lavori di questa band. E proprio Romeo And Juliet ci colpisce per la raffinatezza e la crudezza del pezzo dove si nota una sorta di trait d’union con gli anni settanta nei quali, il trio, faceva faville in tutti i sensi.  Poi qui, come spesso per gli E.L.&.p., va sottolineata la bravura del solito Emerson che, riadattando un brano di Prokofiev, ripropone passati davvero gloriosi, in tutti i sensi. Altro richiamo al passato diventa anche Farewell To Arms che riutilizzando in chiave moderna atmosfere alla Lucky Man sfocia in un finale da capogiro dove il moog non solo la fa da padrone …..ma detta legge. Di certo in questo disco, quello che stona un po’, è la voce di Lake, non più all’altezza dei tempi andati, ma il sound, quello che la band ha sempre proposto è ben amalgamato tra le dieci tracce proposte che, se servivano per offrire al pubblico un gradito ritorno, in parte hanno raggiunto lo scopo.

 

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