Peter Hammill – From The Trees

Quando si ha a che fare con un certo Peter Hammill è come se ci si imbattesse in un certo Hendrix. No, non è solo un concetto questo, infatti Hammill sta ad Hendrix come la voce sta alla chitarra. Si proprio così, perché l’impareggiabile voce di Peter Hammill è capace di fare quanto ad Hendrix riusciva con la sua chitarra, suoni dall’aldilà o dall’aldiqua come meglio credete. Hammill è da sempre stato un artista che nel corso della sua carriera ha volutamente ed esclusivamente perseguito la sua strada, la sua mente creativa, sia che esso si trovasse con i Van Der Graaf Generator sia che la mente ed il braccio fossero prestati ai suoi lavori solistici. Hammill o la apprezzi o non lo apprezzi, guai ad idolatrarlo; lui è così, semplice, creativo ed unico. E quello che Hammill ha rappresentato e rappresenta tuttora non è da poco. Probabilmente in futuro si parlerà e si scriverà di lui come si è parlato e si scrive di Barrett, o di altri suoi simili, ma anche come si scrive di Thomas Dylan o di altri grandi poeti; di certo una figura come Hammill oggi non ha eguali, non ha, non può né potrà avere sostituti. E se parlare di Hammill ci porta a pensare ai Van Der Graaf Generator spontanea sorge la domanda se non sia stato lui stesso ad incarnare la grande band, nonostante altre presenze illustri. La sua voce struggente ed unica, ti trascina, ti solleva da una realtà comune, diventa coscienza, sangue, poesia; un unicum che solo un grande compositore come lui è capace di creare. Quando Hammill crea, tutto diventa unico: le parole, la musica, la voce, gli arrangiamenti. Prendiamo ad esempio il cofanetto di tre cd, che poi in realtà possono essere considerati tre album separati, composto da The Cinè, The Songs, The Retro. Il disco che prende il titolo The Cinè, presenta ben ventuno pezzi realizzati in modo tale da esser un unico brano, tecnica questa che lo stesso Hammill ha poco usato nella sua carriera ma che richiama alla mente la mancanza di ssolchi nelle produzioni pinkflodyane. Di certo questo The Cinè è un lavoro complesso per la capacità di esprimere in ben 21 pezzi l’idea hammilliana, un’idea che con il passare del tempo è cambiata; infatti, se nei primi trent’anni della sua carriera, Hammill cantava spesso di dolore, di rabbia e di malinconia causate dagli amori perduti, ora, l’artista, con la sua naturale evoluzione, riflette sui cambiamenti che gli anni infliggono mettendosi e mettendo in discussione la giovinezza perduta, anzi finita, e chiedendosi poi perché mai la forza espressa dalla gioventù non sia stata usata meglio al momento giusto. Ma tralasciando volutamente questa collection, che non è la parte fondamentale di questa nostra recensione, vogliamo qui sottolineare quanto lo stesso Hammill ebbe a dichiarare a proposito della pubblicazione di The Cinè, The Songs, The Retro: “E’ un progetto piuttosto denso. Il disco principale (Cine) divide le canzoni e le presenta in un modo altamente filmico, spostandosi avanti e indietro tra scene e personaggi. Le canzoni stesse, ovviamente, sono pezzi individuali come sempre. C’è un forte elemento noir del film su tutta la faccenda. Come sempre, oltre a questo, è meglio far parlare la , musica”. Ebbene, dopo questa nostra divagazione, affrontiamo ora quello che è l’ultimo lavoro in ordine temporale di Hammill, pubblicato il 3 novembre scorso, e che prende il nome di From The Trees. Diciamo subito che nei prossimi percorsi anche Hammill,  troverà il suo spazio attraverso l’analisi della sua musica e delle sue composizioni. Primo album solista dal 2014, From The Trees si presenta immediatamente ambizioso, ed è un vero e proprio ritorno all’intimismo hammilliano che molti conoscono.  Pianoforte, chitarra e voce sono gli ingredienti principali che richiamano alla mente i migliori momenti di questo poliedrico artista che tutti, ma proprio tutti, rispettano. E, come spesso accaduto nelle sue produzioni, anche qui Hammill suona tutte le parti dei brani, a conferma che ogni suo disco è una propria creatura, anzi possiamo addirittura chiamarlo un “prolungamento” della sua personalità e della sua irruenza compositiva. In From The Trees, Hammill è padrone assoluto sia nella composizione che nell’esecuzione, i suoi sono livelli di espressione “alti” anche con una voce segnata dall’età (e non può essere diversamente), ma Hammill è sempre Hammill. E poi come non riconoscere anche qui la stupenda fattura della produzione e gli invisibili fili che legano i brani. Un esempio di questa immensità soprannaturale la notiamo da subito in My Unintended, brano di apertura dove voce e chitarra sono padrone assolute, e neanche le intrusioni elettriche che non stonano riescono a scalfire questo stato di padronanza. Anche in Reputation il pianoforte è la base per una voce che dire sublime è poco, si perché qui si percepisce a piene mani la poesia e, la lirica,  come solo un grande può raccontare. Il terzo brano, Charme Alone, è una ballata di puro folk, una musicalità che sembra essere stata ripescata da Hammill durante le sue ricerche tra le sonorità popolari. Poi, con la tormentata What Lies Ahead si arriva ad uno dei momenti più appassionati dell’album,  dove la voce di Peter sembra davvero quella di un dio (nonostante l’età). Anche Anagnorisis si presenta allo stesso modo anzi, sembra che questo brano raccolga a piene mani i fasti dei suoi primi album solistici anche se poi le seguenti Torpor, On Dead Ears, ed il finale angoscioso di The Descent chiudono un album che fa sprofondare in quelli che sono gli abissi dell’uomo dove la regola è lottare senza mai fermarsi per sopravvivere al quotidiano dolore. Insomma un Hammill ritrovato che con questo From The Trees continua a confermare quanto sia grande ed immensa la sua genialità compositiva. La leggenda continua!

 

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