Antarte – Isole

E se stavolta ci rilassassimo un po’? Effetto stroboscopico di una notte di baldoria con amici che deve ora lasciare spazio al recupero del corpo e delle mente. E quale miglior cura di una delle ultime novità uscite in campo tricolore? E prendiamolo sto benedetto Isole, ee vediamo quel che contiene non fosse altro per quel dipinto che richiama uno dei racconti di ieri sera a proposito di quadri, già perché ieri si parlava di quadri di Ligabue e di dischi come Pictures At An Exibition, insomma anche arte e rock quando si mangia, e cos’altro se no oltre ad un buon piatto salentino. Comunque sia, torniamo a questo lavoro che promette sin dalla copertina. Diciamo subito che la musica di questa band si ancora bene in quel post rock a noi tanto caro, non fosse altro per le derivazioni anche etniche che ne richiama, infatti l’album degli Antarte, Isole, si appoggia proprio su questo genere anche se contaminato da testi pensati bene che si miscelano bene nel contesto complessivo. Isole è un album dal sound lento, scorrevole, fluido, a volte anche capriccioso, ma il fatto poi che tutto il lavoro sia stato assemblato da Simon Heyworth la dice lunga su dove gli Antarte volevano arrivare. Infatti, Heyworth è quell’uomo che nel corso della sua carriera ha messo mano ai dischi di Brian Eno, George Harrison, King Crimson, Depeche Mode e tanti altri. E’ dire poco se poi il mastering di questo disco aiuta ancora di più a far risaltare il percorso sonoro che gli Antarte hanno voluto proporre. Infatti il disco si propone con un’architettura strutturata sulla potenzialità dei brani che sono descritti come un rincorrersi di racconti che descrivo il moto a luogo del mare (guardate un po’ la copertina). La musica degli Antarte è rarefatta, sembra buttarsi in un’atmosfera fantasmagorica dove tutto diventa irraggiungibile, una sorta di distanza siderale tra l’essere umano ed i suoi sentimenti.

Già dall’apertura di Isole che si presenta con Oasi, il tuffo nel post rock è immediato, la voce di Lillo Morreale è ben sostenuta da una ritmica acustica che si confonde con i passaggi più vellutati che in alcune note richiamano i Depeche Mode ma anche band come i Tangetrine Dream, ma gli Antarte dimostrano solo che l’assimilazione di quei suoni è solo servita a realizzare proi il sound tutto personale che li contraddistingue. E se Oasi si trova proprio al posto giusto per la presentazione di quello che accadrà dopo, il sound vellutato del brano successivo, I Tuoi Giorni,si appoggia tutta sulla delicatezza della chitarra acustica che propone proprio quell’addio di cui a volte non si può fare a meno. Ed anche qui oltre al bel cantato l’atmosfera che si respira è proprio da post ma anche un po’ flodyana, soprattutto nelle battute finali. Il terzo pezzo contenuto nell’album, Senza Luna, disegna alla perfezione il messaggio sonoro che gli Antarte vogliono far giungere con questo pezzo che più post di così non si può. E Paolo Vita al piano sforna quei tocchi irresistibili che viaggiano tra un classico dimenticato ed un post di ultima generazione, e non basta perché il tutto poi è maestosamente sostenuto dal resto della band che alimenta quel sogno di ritrovarsi senza il satellite tanto amato. Una bel pezzo, da colonna sonora senza dubbio. E se Nessuno apre alla maniera pinkfloydiana per quel tic tac che ricorda uno dei dischi più venduti nella storia, il resto del pezzo viene da se; Nessuno nella sua tristezza è lo specchio di un minimalismo musicale che lentamente porta l’ascoltatore dal post rock finora proposto allo slow core più concreto e consapevole. E che dire qui, il viaggio continua senza accorgersi di essere passati dal ritrovarsi Senza Luna all’essere Nessuno nel vero senso della parola. Ed i suoni che invadono le nostre orecchie arrivano come pennellate negli angoli più nascosti del nostro cervello e ci spieghiamo allora il perché di quella scelta di copertina, anche se poi qui vi è una vera immersione nel sound di stampo Sigur Rós. Scirocco si presenta come post rock tricolore anche se pervaso da influenze alla 65daysofstatic soprattutto nella parte finale del pezzo. E se con Bolina sembra che il post sia stato scritto per le strade di Parigi per la bohemien che sprizza fino a raggiungere, poi, lo slancio verso l’alto, oltre i confini del post, Castelli Di Sabbia muovendosi sulle belle presenze vocali e strumentali, preparano alla chiusura di Isole che con Buona Fortuna fanno approdare a quell’ambient  pulito, senza troppi fronzoli, che la dice tutta si come gli Antarte sappiano fare musica. Un disco che non mancherà di essere apprezzato come è capitato a noi, un disco che ci fa ancora una volta affermare che per trovare buona musica non è poi così necessario andare sempre al di là delle Alpi, basta guardarsi in casa e scoprire che tante band hanno da dire, e molto. E non poteva essere altrimenti perchè a soli quattro anni dall’esordio con Olio Su Tela, gli Antarte di strada ne hanno fatta.

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