Psychedelic Witchcraft – Sound Of The Wind

Spontanei nella musica come nei testi, questo è quello che contraddistingue la band fiorentina che non manca un colpo anzi sembra, produzione dopo produzione, crescere a dismisura tra dark rock e psicheledia. 

Li recensimmo in occasione dell’uscita di The Vision e quando ce li segnalarono eravamo in lidi meno consoni alla musica rock. Ma per noi fu come una vera e propria ventata di calore al solo ascoltarli perché, questa band fiorentina ha sempre avuto chiaro in mente dove andare e lo confermano con questa ulteriore uscita, Sound of the Wind, traboccante di quel bel rock anni settanta che gli  Psychedelic Witchcraft sembrano di avere nel proprio dna. Dal punto di vista compositivo Sound of the Wind si presenta come un lavoro che racconta di un vissuto personale, e lo si capisce bene ascoltandolo; infatti come loro stessi hanno dichiarato, questo nuovo lavoro oltre che a sprigionare energia, è in grado di trasmettere anche malinconia ed un senso di equilibrio interiore. Se, come dicemmo recensendo The Vision, il loro è uno stile che viaggia tra Huriah Heep e Black Sabbath, anche stavolta non intendiamo rinnegare quanto affermato perché, ascoltando traccia dopo traccia questa nuova produzione, abbiamo sempre più la conferma che questa band, al di là delle etichette che gli si possono affibbiare, sa il fatto suo. Il sound, impeccabile, è trascinante, ti entra dentro come una lama, ti produce quelle sensazioni che hai vissuto in tempi lontani ma che non hanno mai smesso di essere presenti disseminati come sono qua e là anche in  tante band sparse per il globo. Gli Psychedelic Witchcraft sono spontanei, nella musica come nei testi, ed è questo il bello che li contraddistingue come è bello non sapersi autodefinire. E fanno bene questi ragazzi a non porsi domande; la musica deve scivolare via sulla pelle, il sound va trasmesso così come lo si percepisce nel momento creativo, solo così si è sicuri di un risultato che in molti chiamano “botta”. Ed in questo, sembra proprio che gli Psychedelic Witchcraft siano maestri, ed essere maestri in terra patria non vuol dire essere limitati considerati i risultati che i quattro hanno anche all’estero in termini di critica. Ma come si arriva a tali risultati se non con l’assoluta onestà del suono che li contraddistingue e con la spontaneità di quanto dicono e descrivono? Anticipato dalla piccola raccolta Magick Rites And Spells, che contiene anche una cover dei Blue Oyster Cult, questa nuova produzione è ricca di quei riff esplosivi che viaggiano tra psych e stoner, riff che denotano una nuova linea compositiva rispetto ai precedenti lavori. E le influenze, come sempre non mancano, ma stavolta coincidono solo con il potente sound alla Sabbath anche se il loro è uno stile del tutto personale, e di questo vanno lodati. La breve introduzione a Sound of the Wind, realizzata col brano di apertura Maat, serve solo a spianare la strada a Lords Of The War che viaggia, tra suoni alla Black Sabbath e quella psichedelia bluseggiante che crea una bella atmosfera, originale diremmo. Rising On The Edge è l’essenza vera poi di questo lavoro perché in grado di esprimere le potenzialità di una band che pescando nel dark riesce comunque a dare luce e vigore a quei suoni che sembrano quasi “lievitare”. Con Turn Me On e Sin Of Mine l’atmosfera diventa subito ammaliante perché richiama, alla nostra piacevole rimembranza, quei suoni alla Zeppelin che tanto abbiamo sempre amato, ma qui i Witchcraft ci mettono tanto del loro bel sound che subito le comparazioni si dimenticano. Ed è giusto così perché, l’alto tasso sonoro contenuto anche in questo disco, è caratteristica di una band che sa dove colpire e come colpire continuando però a restare sempre la stessa. Lo conferma il potente hard rock di Wild We Go che lascia poco spazio ad interpretazioni di genere. Infatti gli Witchcraft, nonostante i salti in generi marchiati tipicamente dark restano, comunque, se stessi, e ciò vuol dire anche possesso di un’alta personalità. E così se The Warrens si presenta con l’elemento tastiere che la dicono lunga sull’espressività della band, dopo Let Me Be Myself,  arriva, la bella Horizons che se nel titolo richiama il pezzo di un certo Hackett, qui diventa davvero la liberazione totale di un lavoro che anche stavolta è destinato a restare tra le produzioni che vale davvero la pena avere in casa. Noi lo abbiamo fatto. E se sono fiori, diceva qualcuno fioriranno, ma qui oltre che fioriti hanno tolto anche quelle spine tanto care a quella dark music che gli Witchcraft impersonificano. Sia chiaro però che quest’ultima non è un’etichetta, ma un complimento.

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