Kevin Ayers – Joy Of A Toy

Joy Of A Toy, album di Kevin Ayers del 1969, è un disco piacevole, oseremmo dire quasi pigro. E non c’è male per l’esordio solista di una delle menti più raffinate del psychedelic rock considerati anche i nomi dei musicisti di cui si circonda per realizzarlo. Primo album da solista dopo la fuoriuscita dai Soft Machine, Ayers concretizza un lavoro dove la creatività esplode in tutta la sua consistenza riuscendo, tra l’altro, ad ottenerne un controllo inusuale su tutto il percorso che porterà a realizzare Joy Of A Toy. Certo a ciò ha contributo anche la presenza di David Bedford nelle vesti di arrangiatore, così come di Paul Buckmaster conosciuto dai più per aver arrangiato molti brani di artisti famosi tra i quali si ricorda, in particolare, Space Oddity di David Bowie; insomma una molteplicità di artisti che hanno contributo a sviluppare l’idea iniziale che Kevin Ayers aveva di questo suo primo lavoro da solista che è diventato una vera e propria pietra miliare della scena di Canterbury. Joy Of A Toy sembra essere una macchina capace di viaggiare nel tempo, la musica che si fonde in un unicum con le parole ed anticipa i tempi che verranno. Sin dalla copertina Joy Of A Toy lascia intravedere quanto è predestinato ad accadere nei solchi: la psichedelia si fa arte e l’arte si fa realtà già dal primo pezzo, quel Joy of a Toy Continued che sembra essere l’unione tra il passato e il presente di Ayers, una specie di marcia senza nessuna pretesa tranne quella di trovarsi nel bel mezzo di un gioco. Il violoncello poi presente in molte partiture, fanno pensare ad una sorta di unione con quel classicismo cui sono legati alcuni degli ospiti del disco i quali danno il proprio contributo nell’allestire un lavoro capace di rendere la Canterbury scene oltre che divertente anche entusiasmante. D’altronde il talento qui non si discute, e non solo quello di Ayers; ma se riflettiamo attentamente capiamo subito quanto  Joy Of A Toy sia quell’album che è una logica prosecuzione dei capolavori dei primi Soft Machine anhe se, qui, Ayers mostra appieno come la sua creatività non abbia limiti, capace com’è di spaziare anche oltre la propria appartenenza alla soffice macchina. Infatti in Joy Of A Toy le influenze allegre e scanzonate di Sgt Peppers ad esempio non mancano, così come non mancano in The Clarietta Rag altro pezzo di influenza beatlesiana, ma così come accade anche con l’ultimo pezzo che chiude il primo lavoro solista di Ayers, Oleh Oleh Bandu Bandong. Probabilmente nelle intenzioni di Ayers, Joy Of A Toy doveva essere solo una piacevole collezione di brani, nessun legame con le suite progressive  dovevano essere di ispirazione, e se queste sono state le sue idee va detto che Ayers è riuscito nell’intento perché, al di là di piccolissimi passaggi, tutto il lavoro è sublime e come dicevamo all’inizio piacevole all’ascolto. I nostalgici, probabilmente, avranno da ridire sull’abbandono di Ayers dei Soft Machine, ma è comunque lampante che il suo lavoro da solista possedeva concezioni ben diverse da come il pubblico era abituato a vederlo con i Soft. E poi, i Soft andavano ormai verso una concezione musicale che li avrebbe avvicinati di più al jazz mentre la sensibilità di Ayers qui cambia profondamente, l’approccio è molto più vicino alla vita in generale ed alle composizioni personali e lo confermeranno i successivi album. Joy Of A Toy è davvero l’album di Kevin Ayers e lo confermano pezzi come la grandiosa Lady Rachel, la stessa Clarietta Rag, la bella e sognante Girl On A Swing, la malinconica Song For Insane Times e la rievocativa All This Crazy Gift. Chi ha spesso letto le mie recensioni sa bene quanto amore nutra nei confronti di un artista che, tra alti e bassi nella carriera, ha segnato la storia del rock e, probabilmente non sarà ciò a limitarmi nelle considerazioni, ma Kevin Ayers potremmo paragonarlo a Lou Reed anche se qui a farla da padrone assoluto è quel psychedelic rock ben lontano dalle acide composizioni dei Velvet Underground che, guarda caso, sono state per lo più fatte proprio da Lou Reed. Joy Of A Toy è un disco dove gli stili variano da brano a brano navigando dal progressive tipico di Canterbury alla psychedelia con pennellate di un certo rock barocco che può e non può piacere, insomma un disco raffinato anche se con qualche sbavatura. Con questo disco e con i lavori che verranno, Kevin Ayers diventa un punto di riferimento fondamentale nel mondo del pop sperimentale e lo sarà  fino alla sua morte avvenuta il 18 febbraio 2013. Ayers è ancora oggi l’artista che suscita stupore in chi lo ascolta ma è anche l’uomo carismatico che, con la sua innata semplicità, ha contributo a creare quella leggenda che va sotto il nome di Canterbury Scene e di tutta la musica che verrà dopo. Joy Of A Toy resterà sempre il miglior lavoro di Ayers, un disco che ostenta umiltà ed ingenuità, un disco che è anche una lezione per chi compone musica, e già, perché la musica è piacevole quando non è artefatta ma semplice, lineare, quando viene dal di dentro e non quando è arricchita di tutti quei campionamenti e sovraincisioni da Mille e una notte. Il consiglio che posso darvi dopo che avrete letto questa recensione? Prendete Joy Of A Toy, mettetelo sul piatto, ascoltatelo ed attendete che la poesia si impadronisca di voi; e non pensate a chi in quel momento vi sta chiamando, lasciate che vi chiami.

 

 

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