Patti Smith – Peace ad Noise

Inizio questa recensione con il chiedermi se qualche volta non sia il caso di fermarsi un po’ per smontare la solita routine quotidiana? Ebbene, al di là di ciò che facciamo nella vita spesso accade che ci sia la necessità di una piccola pausa per non cadere nell’ovvio e nel banale, e mentre mi accingo a questa nuova recensione sulla poetessa del rock, mi rendo conto che questo disco avrebbe potuto essere non fatto perché sembra, almeno per un’artista come Patti Smith, inusuale e per lei desueto. L’assenza dalle scene che durava da ben otto anni ormai, avrebbe potuto essere prolungata (!)  dall’artista che giunge a noi con questo disco dopo quello del 1996 Gone Again e che proprio di quell’intenso preludio al ritorno non ha proprio nulla. Infatti se Gone Again era sobrio ma anche incerto non si può dire lo stesso di questo Peace ad Noise che ha dalla sua solo la splendida voce mentre la musica, quella musica alla quale Patti Smith ci aveva abituati, qui sembra perdersi … anzi svanire nel nulla e nell’ovvietà. E’ un disco che evoca gli anni settanta ma è anche un disco che ha poco del sapore smithiano che ben conosciamo. Solo in alcuni brani, come ad esempio 1959 e Blue Poles la sacerdotessa dà sapore di se rievocando fasti che fin qui abbiamo trovato solo in Horses, ma come diceva spesso un nostro conterraneo romano …. tutto il resto è noia. Un piccolo frammento di quella Smith che abbiamo sempre apprezzato può darsi – all’apparenza – che ci sia in Memento Mori, poi il sipario sembra proprio calare su questo lavoro che esprime quello che di peggio, come artista, Patti Smith poteva esprimere. In Peace ad Noise la poetessa sembra continuare quella sorta di terapia musicale dove il centro di tutto è la completa sconfitta della morte, perché se in Gone Again il riferimento erano i lutti del marito e del fratello che l’avevano profondamente colpita, qui il lavoro è tutto incentrato sulla morte di William S. Burroghs con il quale spesso aveva  intrattenuto discussioni fornendogli anche molti consigli sulla scrittura. Anche in Peace ad Noise spiccano diversi accenni religiosi, campo questo sempre esplorato dall’artista, e se si scende in un ascolto un po’ più attento, Peace ad Noise rivela come la comunicazione umana possa avvenire su più livelli, magari diversi dalla musica che qui è sepolta dalla voce, una voce che ancora una volta la fa da padrone tra armonie desolate e caos totale. Purtroppo però, per una come la Smith, questo disco ci sembra essere inutilmente enfatico, le partiture musicali sembrano trascinarsi con noia completamente avulsa a quella passione forte contenuta in precedenti passaggi della sua carriera. E non prendetemi in giro se dico che qui la Smith sembra … appassionatamente stanca. Peace ad Noise poteva essere un album migliore, probabilmente poteva dire molto di più e ricordare ai fan che la Sacerdotessa non era morta (almeno dentro); di sicuro così è stato perché la Smith è ritornata, non sappiamo se per contratto o necessità economiche, ma da una come lei, una rocker che ha saputo essere poetessa, sacerdotessa ed anche una delle più grandi rock women di tutti i tempi, Peace ad Noise poteva essere un album da far restare nel cassetto o, intitolarsi semplicemente Peace … purtroppo però quella pace non era Noise.

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