Audience – The House On The Hill

Gli Audience sono sempre stati inseriti tra i gruppi minori del progressive inglese, spesso anche dimenticati dai più, ma tuttavia importanti per lo sviluppo del prog rock. Tra le band più amate nei circuiti londinesi, prima di The House On The Hill realizzarono due lavori di non facile identificazione. Ma con questa The House On The Hill, terza loro produzione, l’album divenne immediatamente il lavoro che ben presto caratterizzò sia il sound che lo stile della band. E proprio questa fu la produzione che dimostrò quanto gli Audience navigassero tra folk prog e folate di jazz vere e proprie. Ma oltre ad uno stile del tutto personale, la vera forza della formazione inglese la si è sempre individuata nella presenza di un vocalist come Werth capace di trascinare tutto il gruppo in passaggi memorabili che sanno di gospel, flamenco e quanto di meglio la musica poteva esprimere in quel periodo. Ne sono esempi lampanti pezzi come I Had A Dream, o Raviolè, o la spensierata You’re Not Smiling. Ma al di là di questi pezzi che delineano la corposità del sound Audience, in questo terzo LP spiccano in modo particolare Jackdaw, vera e propria cavalcata stile sound di Canterbury e la pregevole House On The Hillche dà anche il titolo all’album. Comunque sia, quello che abbiamo sul piatto è un disco che si presenta con una bella copertina ed una sequenza musicale davvero pregevole anche se tra alti e bassi. Gli Audience si presentano con questo lavoro con un vero e proprio album artistico contraddistinto da ben due elementi distintivi; infatti, la strumentale Raviolé è un pezzo veramente accattivante grazie ad un intenso lavoro sulla chitarra classica, mentre l’orecchiabile Eye To Eye colma insieme al precedente alcuni passaggi tra un pezzo e l’altro che risulterebbero altrimenti mancanti di quel qualcosa che gli Audience hanno, a modo loro, caratterizzato, vale a dire un sound non esplosivo certo, ma comunque essenziale a scrivere una bella pagina di musica nella storia del progressive inglese. Ed è una pagina senza tanti fronzoli perché questo bell’esempio di rock manca di tastiere esasperate che lasciano lo spazio ad un essenziale sound fatto di fiati che accompagnano e sostengono la bella voce di Werth. Le melodie qui sono gradevoli così come lo è il flauto di Gemmell ed i virtuosismi baroccheggianti della chitarra folk, ma la vera coesione musicale la si trova in quei pezzi più lunghi dove le variazioni di sax e clarinetto rendono giustizia ad un lavoro difficile da assimilare. Una curiosità poi: The House On The Hill uscì lo stesso anno in cui i Led Zeppelin pubblicarono Led Zeppelin IVcon similarità non indifferenti; infatti se si comparano i due dischi ci si accorge subito che ambedue le registrazioni erano ben progettate con un suono eccellente per degli LP, inoltre vanno sottolineate le presenze di strumentisti unici perché, al pari di Jimmy Page & C., anche gli Audience con Keith Gemmell, Howard Werth, Tony Connor e Trevor Williams non sono da meno e non è un caso che The House On The Hill miri ad essere un lavoro votato all’unicità. Queste, come tante altre sono storie di prog, ma anche libere riflessioni che speriamo rendano bene la percezione di quanto fino ad ora abbiamo ascoltato. Eh già, perché sul piatto ora è rimasto solo un disco che gira perché il braccio del giradischi è ritornato al suo posto. Non me ne ero accorto preso com’ero da un sound che non ascoltavo da tempo.

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