Patti Smith – Twelve

Patti Smith nella sua smisurata carriera ha inciso diverse cover con uno stile interpretativo e sonoro che l’ha sempre contraddistinta. E come si addice ad una grande artista, ma anche interprete grazie alla particolarità della sua voce, non è da meno questa produzione del 2007 che la vede impegnata nella coverizzazione di grandi classici del rock. Jimi Hendrix, Neil Young, Rolling Stones, Nirvana e così via, sono alcuni degli artisti che in questa raccolta di cover trovano spazio e danno fiato ad una splendida sonorità vocale che dona un’enfasi del tutto particolare a quei brani entrati di diritto a far parte della storia del rock. Si perché la storia, quella del rock appunto, passa anche attraverso l’interpretazione di grandi di questo genere, come è qui nel caso della sacerdotessa. Ed a modo suo Patti Smith riesce in Twelve a stupire per la resa sonora che dona ai vari brani che ha voluto selezionare per questo disco. Certo, l’apporto della band che l’accompagna è fondamentale, ma Twelve rappresenta quanto di meglio nello stile interpretativo della Smith ci potesse capitare tra le mani. Quello poi che qui si rileva è come questi dodici brani sono qui riportati a vivere di nuova linfa quasi a dimostrare che un buon album lo si può realizzare anche con vecchi successi. Ma questa, si sa, è maestrìa e gigantezza di una delle più grandi artiste (e non solo) di tutti i tempi. Questo è davvero il classico disco che va ascoltato in rilassamento totale, trovando il tempo giusto per farlo senza essere disturbati; pochi artisti sarebbero stati capaci di realizzare ciò perché l’interpretazione che la Smith ne fa qui è davvero ineccepibile, non esistono pecche anzi, la garanzia qui è davvero illimitata perché interpretare così pezzi dei Rolling Stones, Jimi Hendrix, Bob Dylan, Jefferson Airplane ed altri non è da tutti, anche qualitativamente. Basta una su tutte, quella White Rabbit dei Jefferson Airplane che parte con quell’attacco di rullante proiettandoci direttamente in quegli anni ’70 che tanto amiamo, un viaggio di pura psichedelia con una chitarra che all’epoca nessuno usava in tal modo ed i suoni del synth che aprono ancora più la mente di chi ascolta. Per essere un album di cover questo è il massimo che si possa ascoltare, un disco che quando non si ha niente che il mercato passi faremmo sempre bene a mettere sul piatto e spararlo ad alto volume come se si stesse ad un concerto perché, anche se l’artista è una ed una sola, sembra che ad alternarsi in studio ci siano una marea di grandi nomi della musica. Qui, sinceramente, non c’è molto altro da dire perché quanto dovevamo lo abbiamo fatto, ma l’unico modo per capire quanto abbiamo fin qui scritto è mettersi ad ascoltare questo lavoro di cover che Patti Smith ha fatto assurgere a classico. Non è da tutti una cosa del genere, solo i grandi possono farlo e lei lo è!

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