Spring – Spring

Ma è davvero sufficiente la produzione di un solo album per entrare nella storia? Quante sono le band e gli artisti che dopo la prima pubblicazione si sono volatilizzati nel nulla pur avendo comunque lasciato tracce indelebili nella musica rock? A queste domande ci siamo dati delle risposte, una in particolare: loro si chiamavano Spring ed erano una delle band più rappresentative del progressive rock inglese, una band che con all’attivo un solo album è stata in grado di dare  a quello stesso movimento musicale una notevole dote di suoni, intrecci e risultati tali da far diventare il progressive inglese quello che è ormai per definizione, il rock più interessante che si possa ascoltare. Formatisi come band a Leicester, gli Spring con questo loro omonimo, primo ed unico LP, hanno dimostrato come l’uso del mellotron nella musica rock degli anni ’70 potesse diventare fondamentale in tutti i sensi. Riascoltare questo disco dopo tanto tempo per farne una recensione è stato oltre che piacevole una vera e propria riscoperta, quasi un’ulteriore sorpresa di quante ce ne avesse regalato quando fu acquistato in un negozio di dischi dell’Emilia, appena pubblicato. Spring è un disco senza se e senza ma, un vero e proprio manifesto di rock progressive melodico, vellutato, tutto costruito sulla presenza di ben tre mellotron capaci di dialogare tra loro come se nulla fosse, quasi recitando un sapiente copione di una importante commedia, la commedia del rock appunto. I suoni che il disco emana sono da una parte raffinati, dall’altra quasi militari anche se non mancano le ballate acustiche ed i brani tipicamente rock dove è facile immaginare che l’ispirazione sia venuta grazie all’ascolto di certi … King Crimson dove prevale l’aspetto più romantico, o di band come i Moody Blues. Spring è un lavoro pieno di quel progressive rock influenzato dal folk, un po’ come avvenne poi per i Jethro Tull, un disco che al giorno d’oggi è davvero un tesoro infatti, chi ha la fortuna di possedere la stampa originale inglese di Spring sa bene di possedere un oggetto da collezione pura, diventato orami talmente raro e prezioso da essere davvero unico (che fortuna che ho!). Ascoltare questo loro superbo lavoro vuol dire mettersi in un vero e proprio incrocio dove passano i primi sette grandi album dei Moody Blues, i Genesis del periodo ’70, i primi King Crimson ed anche gli stessi Uriah Heep. I veri punti nodali di questo album possono comunque essere raggruppati in soli quattro pezzi quali Grazing, Grail, Golden Flee e The Prisioner (Eight By Ten). L’apertura affidata a The Prisoner (Eight By Ten) già prelude a quanto di bello Spring ci proporrà successivamente con le atmosfere di quello che consideriamo uno dei più interessanti lavori del progressive inglese; ed è proprio questo il pezzo in cui si possono sentire distintamente i tre mellotron che la band utilizza per comporre il proprio sound. E se l’apertura è così valida immaginatevi il proseguo del disco dove si presenta Grail che apre anch’egli con atmosfera vellutata dove la presenza di una bella chitarra dà magnificenza ad uno dei pezzi che ci piacciono maggiormente in questo unico lavoro degli Spring, un pezzo che davvero ci riportata agli esordi di certi Giles, Giles e Fripp, antesignani del Re Cremisi, con quei passaggi che improvvidi catapultano nell’immensità di lands sognanti. Per Boats sono sufficienti appena due minuti per proporre una bella ballata folk quasi a spezzare quel sogno finora fatto per proiettarci su un’altra sponda. Ed infatti sull’altra sponda si apre la marcia a suon di rock che con Shipwrecked Soldier diventa un vero e proprio inno militare grazie a quel suo gioco composto per lo più da un bel rullare della batteria, dai mellotron che giocherellano e dalle voci che accompagnate da un bella chitarra di fondo, si interconnettono tra loro in un intreccio di suoni e parole che è difficile trovare in altri dischi dello stesso genere tranne in quelli dei Moody Blues. Golden Fleece è il ritorno alla base della band che con questo pezzo dimostra di essere solida non solo nell’unione ma anche nella composizione, con la voce di Pat Moran che è davvero unica soprattutto quando viaggia sulle note del solito mellotron incontrastato padrone di Spring. Inside Out giunge in tempo per smuovere i pensieri presentandosi con quel bel rock che vorresti ascoltare proprio in questo momento del disco; e come abbiano fatto a prevederlo questi Spring rimane davvero un mistero. Song To Absent Friends (The Island) si presenta come se insieme agli Spring ci fossero anche un certo Pete Sinfield con i suoi Van Der Graaf Generator; infatti il bel piano di Brown ha in quel tocco un non so che di Sinfield così come la voce del solito Pat Moran è un sogno che è davvero diventato maniacale. A chiudere Spring è Grazing che si rivela con un rock progressivo stile Genesis ma che possiede la particolarità di una band che è davvero un peccato che si sia fermata ad un solo album in produzione. Senza dubbio la musica degli Spring riflette quel blues che è stata una scelta fondamentale per molte band inglesi del periodo, e se a ciò si aggiunge che la band prima della registrazione di questo album era in giro nel Regno Unito per l’apertura dei concerti dei Velvet Underground, beh allora la cosa sembra essere davvero difficile da criptare considerato che gli Spring non si sottraevano neanche ai suoni acidi trasmessi dalle radio londinesi che comunque, per fortuna, non ritroviamo qui. La cosa più interessante di questo intero album è comunque la registrazione che è stata fatta senza phasing, flanging o ulteriori effetti da alterarla per cui tutto il lavoro risulta essere, per fortuna, non datato. E poi che dire sulla voce di Pat Moran che ci ricorda molto quella di un certo … Wetton …. Chissà poi quanti la penserebbero come me se ascoltassero questo disco datato 1971. E’ una proposta!

 

 

 

 

 

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