Gnidrolog – Lady Lake

Capita spesso che le band capaci di lasciare il segno abbiano alle loro spalle la produzione di uno o due album. Ed è così che oggi, ci dedichiamo ad analizzare una delle proposte più interessanti degli anni ’70 in chiave prog. Ma il  progressive questa volta, non è come quello che la maggior parte di noi ascolta, bensì è un progrock più affine all’ecletticità ed a suoni più puliti allo stesso tempo. Anticipato da Harry’s Toenail pubblicato lo stesso anno, Lady Lake a differenza dell’esordio offre un sound ben più audace e congegnato basti per questo pensare agli strumenti a fiato che sono davvero in primo piano e che si avvicinano molto allo stile di alcune band canterburyane ben più rinomate. Ma l’influenza di quelle atmosfere che abbiamo già ascoltato in album dei Van Der Graaf Generator o dei King Crimson è presente come non mai anche se la musica dei Gnidrolog ha una struttura che non ha nulla da invidiare a nessuno. Lady Lake è un album potente, complesso ma ricco di sensibilità con arrangiamenti studiati che rendono giustizia al sinfonismo del prog; nonostante ciò però sono in pochi davvero ad aver considerato quest’album come uno dei passaggi fondamentali della complessa storia del progressive rock. Composto da una bella copertina che diventerà preludio alle cover di gruppi che verranno (vedi quelle splendide  degli Yes), il disco è raffinato molto influenzato dai grandi del prog inglese. Già dal brano di apertura, I Could Never Be A Soldier nonché con il successivo Ship si può toccare con “orecchio” quelli che sono gli ottimi arrangiamenti ai quali la band dedica gran parte del lavoro in studio, rendono bene l’idea di che proposta musicale si stia parlando visto che proprio la title track risulta essere, alla fine, un capolavoro di cui andare fieri. Ship è invece uno dei passaggi più delicati e commoventi dell’album, un pezzo che parla di rifugiati navigando tra livelli differenziati di sonorità dove sassofono, chitarra acustica e voce si intersecano alla meraviglia per una partitura complessa ma efficace. A Dog With No Collar dura appena due minuti, ed è la traccia più breve dell’intero lavoro, ma se dall’avvio sembra essere un pezzo debole in rapporto ai precedenti, in realtà strada facendo si rivela essere un bel brano grazie anche a quel rumore di dita prodotto sulle corde della chitarra acustica da Goldring, che probabilmente dà anche maggiore spessore a tutto l’insieme musicale. Passando a Lady Lake, che è poi il pezzo da cui prende il nome il titolo del disco, tutto il contrasto con gli altri pezzi dell’album viene fuori smisuratamente perché il progressive è davvero molto influenzato dal jazz e la struttura del brano rivela l’avvento di una nuova band all’orizzonte, i Gong di un certo Daevid Allen, genio incontrastato ed inarrivabile di un rock che dire spaziale ci sembra davvero poco e limitativo. Anche Same Dream è un pezzo compatto ma la presenza del pianoforte, che è delicato quanto basta, rende questo brano quasi come un passaggio verso nuove e più complesse musicalità che ci proiettano verso i suoni di certi Procol Harum. La bizzarra Social Embarrassmen è molto vicina al sound del gigante gentile ma nel complesso il disco è davvero gradevole e ben congegnato. E’ un peccato che un album così sia troppo spesso trascurato, e sembra che non basti nemmeno la resistenza al tempo che dimostra come, invece di corrodere, lo stesso abbia continuato a resistere nonostante l’avvento di nuove e più articolate strutture musicali. Lady Lake è davvero una vetrina multiforme di suoni, un album che non è inopportuno definire come progressive underground in stato di avanzata maturità.

 

 

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