Hatfield and the North – The Rotters’ Club

Partiti con il mancato successo commerciale del primo disco, Hatfield and the North, prodotto dalla Virgin Records e pubblicato nel 1974, la band di Richard Sinclair & C. non si perde d’animo e si butta a capofitto in quello che resterà, comunque, uno dei migliori album di tutti i tempi della cosiddetta scena di Canterbury. E così, mentre il primo album risultava essere alla fine un omaggio a Robert Wyatt ed ai Matching Mole, The Rotters’ Club diventa l’album della definitiva  maturazione del gruppo, un caso quanto mai strano in fatto di musica considerato che quasi tutte le band hanno bisogno di un po’ di tempo prima di maturare un proprio e definitivo sound. Ma qui ci troviamo di fronte a musicisti che non conoscono confini, musicisti che chiamare man band sperimentali è dire poco. Già dalla copertina The Rotters’ Club si presenta come una novità anche stilistica, novità che non lascia scampo ad ulteriori interpretazioni di sorta per quello che è in grado di trasmettere. A ciò si aggiunga la presenza di ulteriori membri che collaborano in sala d’incisione quali Lindsay Cooper e Tim Hodgkinson provenienti dagli Henry Cow, o ancora Mont Campbell degli Egg ed il risultato diventa unico per lo stile tipicamente canterburiano. E veniamo a The Rotters’ Club, una produzione effettivamente piena di emozioni sonore che ruotano intorno ad un prog da contaminare con sfumature jazz, quasi recitando un copione, dove si sente la mano di ogni componente di questa band che ha lasciato un solco non solo nel temporale periodo di attività, ma anche su quelli che saranno poi i suoni progressive del futuro. Qui c’è la presenza di un Sinclair che riporta ai primi Caravan e lo si capisce da come usa il basso e la voce, a favore di un groove davvero insuperabile come solo le band in cui Sinclair ha militato hanno saputo fare. The Rotters’ Club è un disco che è al centro di tutta la scena Canterbury, un disco che ha dato diversi stimoli ai generi musicali che sono venuti dopo, una produzione dove la sensibilità pop, hard rock, jazz sono unite ad un pizzico di avanguardia con quel suono totale che è tipicamente english, un vero e proprio marchio di fabbrica Hatfield and the North. Le canzoni appaiono stravaganti, a volte eccentriche, probabilmente un convinto tentativo di uscire fuori dalle etichette stile progressive nonostante le tecniche strumentali usate da Stewart, Miller, Sinclair e Pyle. Infatti, se prendiamo ad esempio i due brevi passaggi jazz di Phil Miller, Lounging There Trying e Underdub che si presentano con il piano elettrico di Stewart, l’improvvisazione qui regna sovrana; accade diversamente invece per pezzi quali The Yes No Interlude dove, la fusion tra tastiere di Stewart ed il sax di Hastings, danno il meglio del meglio del caratteristico sound canterburiano perché i due oltre che allinearsi musicalmente dimostrano, se ce ne fosse bisogno, come e dove si possa giungere con la musica. The Rotters’ Club è davvero eccellente sotto tutti i punti di vista, un vero e proprio coacervo di suoni con tutte le influenze della scena di Canterbury presente perché ci sono contaminazioni che provengono dai Soft Machine, Gong, Caravan, e tanti altri includendo anche un tocco di matrice zappiana, insomma la vera sintesi del suono Canterbury. The Rotters’ Club è probabilmente l’apice del genere, con testi gioviali che ricordano proprio quel periodo, quel posto del sud Inghilterra all’inizio dei gloriosi anni ’70, un disco che trasuda suoni per un sound di altissimo livello, una vera e propria pearl (per dirla alla Joplin). Non si può assolutamente rinunciare ad un lavoro del genere e stavolta non vi dico che non può mancare nelle vostre raccolte …..ma se vi manca…peggio per Voi!

 

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