Greenslade – Greenslade

Questo album dei Greenslade che ci accingiamo a recensire, è probabilmente l’album che mette a fuoco, più degli altri, le abilità musicali e canore delle band inglese, una delle migliori del periodo, anche se non ebbe la fortuna di quel successo commerciale raggiunto da altre. Le abilità vocali di Dave Lawson pur non essendo quelle eccelse di altri artisti si mantengono però all’interno di quel disegno sonoro che la band fu in grado di produrre. Nonostante ciò, il progressive che i Greenslade producono è quello tipico del periodo qui marcato da un sostanzioso uso del mellotron, probabilmente derivato dalla provenienza di Dave Greenslade dai più rinomati Colosseum. Certo, la scrittura dei brani non rispecchia quello di altre grandi band del periodo, ma l’album risulta comunque essere piacevole all’ascolto. In Greenslade c’è quasi un utilizzo spasmodico delle tastiere a volte piacevole, ma in altri passaggi, forse, un po’ troppo accentuato. La musica qui si sente che è influenzata dal progressive del tempo e probabilmente quello che gli manca è la presenza di un pezzo che attiri immediatamente l’attenzione; ma ciò è verosimilmente dovuto alla formazione che non ha grosse militanze in band di grido eccezion fatta per Dave Greenslade. Se si confrontano un po’ le varie tesi, per molti Greenslade è un album piatto perché pieno di quei suoni già sperimentati e quindi ascoltati, un lavoro che non lascia nessuna impronta, anzi sembra quasi cadere nel vuoto ….. musicale. Eppure ci sembra strano che una band così composta con Dave Greenslade e Tony Reeves, due dei membri fondatori dei Colosseum, Dave Lawson dei Samurai e il batterista Andrew McCulloch, che aveva suonato in Lizard dei King Crimson, possano produrre un disco così…. La piacevolezza di ascolto di Greenslade sta nell’eccellente musicalità che proietta in composizioni fluide e che virano verso un sinfonismo classico di matrice anglosassone, suoni questi perfettamente pilotati che è facile ritrovare anche in quelle produzioni di band come i Beggar’s Opera, non dimenticando poi quelle linee melodiche caratteriste del sound di gruppi come gli Yes. Tutto questo contribuisce comunque a rendere equilibrato un album per la maggior parte derivato dal prog rock di vecchia scuola. Dicevamo prima che la mancanza di una vera e propria novità che rendono l’album un po’ piatto, ci sono però delle cose che vanno analizzate, e magari approfondite, per dare davvero senso a quanto questo lavoro avrebbe potuto meritare; già dall’apertura con Feathered Friends quello che ci colpisce è il loro modo di suonare, con melodie che appaiono deboli ed il canto che non eccelle; ciò però non toglie al pezzo quella sostanzialità progressive che ci si aspetta da una band che mastica principalmente il genere progressive. Appare interessante invece Temple Song che sembra lasciare al prosieguo del disco un’aurea di miglioramento che, di fatto, non c’è. Ma a parte le tracce in cui compare il canto, quelle prettamente strumentali si mantengono comunque molto vicino al periodo di concepimento dell’LP con ripescaggi di quel sound tipico dei grandi gruppi ai quali abbiam fatto riferimento all’inizio di questa nostra recensione. Ad ogni buon modo, a rendere finalmente giustizia a questa produzione ci pensano oltre che il già citato Feathered Friends i due pezzi quali Melange e Sundance che rendono il disco non cestinabile del tutto. In Greenslade tutto si muove in un costante equilibrio grazie alla capacità strumentali della band che fonde la melodia con un virtuosismo unico amalgamato e reso tale dalla  presenza di musicisti provenienti da altre esperienze, esperienza questa che si manifesta nella passione che i membri hanno per il jazz rock ed il blues. Certo, abituati come siamo a trattarci bene, Greenslade è un album che va comunque ascoltato per capire cosa, nel tempo, il  progressive è stato in grado di esprimere.

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