Sdang e Il Paese Dei Camini Spenti

Secondo il motto “raccontiamo storie senza parlare”, il duo lascia largo spazio all’immaginazione dell’ascoltatore affidando ai titoli dei brani l’ancora delle suggestioni, motivo per immergersi completamente nelle vie di questo misterioso paese per un vagabondaggio di circa 35 minuti che inizia con delle gocce di pioggia per poi…

Due ragazzi, tanta voglia di suonare, l’idea centrale della creatività, un post rock infiltrato da tanti bei passaggi grunge, questi sono gli Sdang, band con all’attivo già tre album, tra i quali l’ultimo, Il paese dei camini spenti, da pco pubblicato. Un disco che continua sul cammino tracciato dai precedenti lavori, ma che fa viaggiare chi ascolta tra le strade di uno sperduto paesino dai camini spenti, forse il nostro, forse quello di altri. E così, dopo il 2015 che li vede con Il Giorno Delle Altalene, nel 2016 pubblicano La Malinconia Delle Fate per poi giungere a questo nuovo percorso che li porta, in questo 2018, ne Il Paese Dei Camini Spenti. E le tracce di questo lavoro vedono Alessandro Pedretti e Nicola Panteghini, in arte Sdang, finire su supporto audio e nel web tramutando il prodotto in un concept corposo per suoni come non ne ascoltavamo da tempo. La storia di questo lavoro sta tutta nel suono, nelle chitarre distorte, nei rovesci di ritmo, nei continui cambi modulati con esperienza che lasciano tanto spazio a chi ascolta da sentirsi quasi un membro di questo duo che, guarda un po’, lo abbiamo trovato nel paese dei camini spenti. Già, perché quando gli Sdang arrivano in questo paese semi irreale, il loro sound dà, come si dice, fuoco alle polveri con semplici passaggi dove chitarra e batteria regnano sovrane. Certo che di strada questi ragazzi ne hanno fatta, e tanta; basti pensare ai tantissimi concerti ed alle collaborazioni con artisti anche di forte impatto, tra i quali spicca quella con Colin Edwin dei Porcupine Tree. Il paese dei camini spenti viaggia tra atmosfere che vanno dal post rock allo shogaze, al grunge, al progressive, una vera e propria miscela esplosiva che solo la musica è in grado di innescare. Qui non è una questione di etichettatura di genere, qui c’è tanta voglia di fare bene, e la tecnica c’è tutta eccome, ma ci sono prima di tutto quella voglia di riuscire a trasmettere, attraverso il suono del rock, quei sentimenti e quelle sensazioni vivibili anche in questo Il Paese Dei Camini Spenti, dove pure la voce è riuscita, per una volta, a spegnersi. Lasciando ampio spazio all’immaginazione di chi ascolta con questo disco, gli Sdang affidano i titoli dei brani alle suggestioni di ognuno di noi facendoci immergere completamente nelle vie di questo paese misterioso dove è facile vagabondare. E veniamo alle tracce contenute in questo bel concept “suonato” con una maturità non comune: Il paese dei camini spenti racconta di ricordi, del sentiero del postino che attraversa anche il paese originario di Toscanini, ed il ritmo e la melodia che avvolgono il pezzo rievocano quelle sensazioni che sono legate ad un picnic durante il periodo natalizio, un momento di vita che unisce le sensazioni vissute durante quella piacevole pausa dove affiorano ricordi e malinconie. Con Il Campanile Oltre La Nebbia invece, viaggiando attraverso un post rock tutto “italiano” (ne siamo orgogliosi), la musica degli Sdang fa un ulteriore salto di qualità ma anche di quantità, perché i suoni che ne scaturiscono sanno anche viaggiare alla velocità della luce quando è il momento. Qui c’è tutta la bravura della band capace di miscelare generi, mantenendo sempre una personale interpretazione del rock a tutto tondo. Con Forse Dopo La Cena Verrà La Neve la sensazione è che ci si trovi in uno dei meravigliosi paesaggi del nostro paese, quei paesaggi sperduti tra i monti dove a spegnersi è forse la speranza di un futuro migliore che non si vede all’orizzonte … ed allora non ci resta altro che viaggiare con la mente. Il successivo Il Meccanismo dell’Orologio è uno rock sanscrito, una definizione che calza a pennello perché è così che gli Sdang descrivono quel meccanismo dell’orologio che fa scorrere le nostre vite, perché un conto è scriverne, un conto è musicare il tempo inesorabile di un orologio di montagna, meglio ancora di un paese … che potrebbe essere morto. Con Tre Vecchie Streghe, i territori che gli Sdang ci accompagnano a visitare sono spazi illusori dove sovrane regnano le note di un rock che prende dal passato, ma che è anche volutamente evoluto, e gli Sdang ce lo trasmettono in tutta la sua potenzialità con martellamenti di chitarra, basso, batteria ed una grande lettura pseudo grunge. Per descrivere il brano seguente, Estate Cartolina, è sufficiente fare riferimento al post rock di matrice Sigur Ròs e per il quale crediamo di non essere azzardati. Le atmosfere di questo brano ricordano pienamente la band di Jònsi, mentre con Teleferica Al Chiaro Di Luna, pur mantenendosi in territori post, tutto si alimenta da un bel giro di chitarra che al cambio ritmico della batteria si dondola in un inciso marziale e ben architettato dimostrando le potenzialità degli Sdang che non hanno nulla da invidiare ad alcun altro gruppo che si diletta in generi che variano tra showgare, post rock e un certo tocco progressive che non manca mai. Con Ruggine Sul Mulino Ad Acqua gli Sdang si lanciano in un  jazz dalle atmosfere free, nel senso che lasciano davvero libertà interpretativa a chi li ascolta, riuscendo anche nell’intento di descrivere, con molta fantasia, quel mulino che, come scrivono loro in cartella stampa, è “Il mulino, lontano dal paese, era il luogo preferito dai ragazzini che volevano diventare grandi. Le biciclette appoggiate all’albero, una addosso all’altra, e noi con i nostri pantaloni sporchi di terra: le zanzare ci facevano compagnia, a noi e al mulino. Il mulino e il sapore del pane, inconfondibile. Il mulino del mistero: nei giorni della pioggia d’estate sibilava un flebile canto, impossibile capire da dove venisse”. Il penultimo pezzo di Il paese dei camini spenti, e cioè quel Quando Le Donne Stavano Ai Lavatoi, torna ad un grunge che percorre quella strada di mezzo che separa Kurt Cobain da Chris Cornell, ma pesca tra tanti stili che il grunge lo hanno reso unico come genere rock. E si mantiene sulla stessa linea anche l’ultimo brano che chiude questo lavoro davvero entusiasmante, ricco di quel rock che viaggia tra alternative, post rock, grunge, messi insieme non per farne un guazzabuglio, ma utile a creare un proprio stile di cui gli Sdang ne sono artefici. Il paese dei camini spenti, prodotto dalla stessa band e dal fonico Ronnie Amighetti, vede Alessandro Pedretti alla batteria, percussioni, pianoforte, glockenspiel, field recording e Nicola Panteghini alle chitarre, batteria elettronica e bass synth. Al duo si aggiungono anche Claudia Ferretti, Fidel Fogaroli, Ronnie Amighetti, Francesco Venturini e Pierangelo Taboni che prestano la loro esperienza in brani quali Tre Vecchie Streghe, Teleferica Al Chiaro Di Luna, Ruggine Sul Mulino Ad Acqua e In Assenza Di Nuvole. E che dire ancora per finire? Nulla, perché per capire si deve ascoltare e che ad ognuno di voi giungano le migliori sensazioni che abbiamo provato noi perdendoci ne Il Paese Dei Camini Spenti.

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