The Cure – The Head On The Door

Dopo il deludente The Top, i The Cure di Robert Smith non eludono le aspettative dei propri fan perché sfornano un nuovo lavoro, The Head On The Door, in cui sono finalmente al top di quella fusione tra pop e dark che da tempo avevano inseguito con le precedenti produzioni ed in particolare con gli ultimi due lavori in ordine d’uscita. In quel 1985 il movimento alternativo giovanile era in pieno fervore e lo era anche la band inglese di Smith che annusando il nuovo modo di essere giovani, concepivano una sorta di colonna sonora che possiamo a pieno titolo ritrovare in quest’album. Tra l’altro a noi è parso, storicamente per i The Cure, che questo nuovo lavoro sia stato in definitiva il momento cruciale in cui, finalmente, la band si ritrovava a pieno titolo mettendo finalmente da parte i dissapori sorti a causa dei problemi personali di ogni componente della band inglese. Quello che più risalta è quella capacità di cercare nuove strade da percorrere portandoli definitivamente al di fuori del limbo in cui si erano ritrovati dopo la pubblicazione di Pornography; infatti con The Head On The Door, questa diversità di vedute sonore esce completamente fuori da quel guscio in cui la band si era rintanata e ciò, come sempre, è dovuto alla firma di tutti i pezzi da parte di Robert Smith ma anche dai cambiamenti di line up. Smith, qui, diventa l’essenza dei The Cure e non è da meno il modo di suonare del bassista Simon Gallup che rientrava dopo un allontanamento inconsueto. The Head On The Door comunque, è diventato uno dei momenti cruciali dei The Cure e lo dimostrano pezzi come In Between Days, pezzo di apertura di questo disco, che è un brano ricco di quella malinconia e di quel desiderio di lasciarsi logorare dentro una volta che certi sogni smettono di esistere, un passaggio questo davvero inconsueto per una band come i loro. Ma anche Kyoto Song non è da meno perché prosegue con immagini da incubo che fanno ben capire come la musica della band sia davvero trascendente e dark. Il terzo pezzo di questo disco poi, The Blood, gioca molto con lo stile flamenco della chitarra, uno stile capace di segnare un pezzo che insegue l’ideologismo di matrice cattolica quasi a voler sbeffeggiare quel modo di credere in Dio. Six Different Ways è qualcosa che va ben oltre i Cure perché fatta di linee e suoni davvero inusuali e fuori dallo stile che Robert Smith ha voluto cucire addosso alla “sua” band, un pezzo eclettico che sembra essere più che dei The Cure di quei The Clash periodo London Calling, disco che ha segnato non solo un’epoca ma anche quelle successive. Ed è qui che tutto lo stile punk esce fuori dal ventre di questa band che ancora oggi, a distanza di tempo, continua a dire la sua. Close To Me è un altro passaggio importante di quest’album, fatta com’è di quel mix melodico e claustrofobico che solo i Cure sono riusciti a trasmettere attraverso i lori suoni e le loro composizioni, tutto il contrario di quanto accade invece con A Night Like Thisun vero e proprio inno al dark sound di matrice prettamente romantica. Comunque sia, The Head On The Door è un album che non ci si lascia sfuggire di mano così tanto facilmente anzi, vien sempre la voglia ogni volta che se ne parla di ascoltarlo anche con un nuovo modo di porsi e di essere. Sì perché proprio questa A Night Like This, grazie anche ad un bell’assolo di sax, non sfugge alla sdolcinatezza che probabilmente vuol trasmettere. The Head On The Door è comunque stato per i Cure un traguardo considerevole nella loro carriera, un passo che ha segnato una nuova direzione sia compositiva che musicale, una vera e propria lezione. Ed è così che i The Cure hanno forgiato un nuovo tassello nella loro carriera, si perché se Disintegration possiamo considerarlo come il loro Sgt Pepper’s Lonely Hearts ClubThe Head On The Door può alla fine essere davvero il loro Revolver. Nonostante ciò però i The Cure con i Beatles hanno poco a che fare…e meno male!

On The Door

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