Baba Yoga – L’uomo progressivo

L’uomo Progressivo non è solo un disco eccezionale ma una filosofia che tenta di sostituire l’essere umano …… con Dio. Nomi illustri son stati chiamati ad orchestrare questo splendido concept che pone le basi di un percorso che si muove tra world music e rock.

Ci sono dei dischi che non possono essere classificati, dischi dalle atmosfere impalpabili, dal linguaggio che suonerebbe strano se non ci fossero quelle atmosfere che richiamano a generi che, nel bene e nel male, conosciamo almeno nelle sue essenzialità. E’ il caso di questo L’Uomo Progressivo che più che concept potrebbe essere classificato come vera e propria filosofia sonora.  E tutto ciò parte già dal nome della band, Baba Yoga, una deformazione voluta dagli autori che si nascondono sagacemente dietro questo nome, Gianfranco Salvatore e Danilo Cherni. Il primo, professore associato di II fascia di etnomusicologia dell’Università del Salento ma anche critico musicale che si è sempre occupato di musiche nella tradizione orale, afroamericana e popular music, il secondo, musicista di collaudata esperienza, ma anche compositore, autore ed arrangiatore che insieme, hanno realizzato questo lavoro colmo di ironia, dissacrazione ma anche di tanta provocatorietà. Di certo, realizzare questo bel disco non è stato facile vista la mole di ospitata che i due hanno voluto ad iniziare da Vittorio Nocenzi (B.M.S.), Luciano Regoli (Raccomandata con Ricevuta di Ritorno), Peppe Servillo (Avion Travel), Fabio Pignatelli (Goblin), Alvaro Fella (Jumbo), Lino Vairetti (Osanna), fino a giungere a Derek Wilson (Zucchero, Goblin, etc.). Ed i risultati si sentono, eccome; un disco della durata di 53 minuti ma che nella musica progressive pesca a pieno titolo visti i risultati ottenuti anche se non disdegna di inserire country blues, folk, ballate popolari, musica orientale, funky, neo-progressive ed anche tocchi di musica elettronica. Si parte subito con Overture splendida apertura di rock progressivo completamente affidata ad un’affascinante intro di chitarra che richiama vecchi fasti di quel prog tipicamente italiano con sfumature che rimandano al sound live degli immensi Osanna. Il secondo pezzo, della breve durata anche questo, cambia stile lasciandoci nel limbo della decifrazione anche parziale di cosa stiamo ascoltando. Il bel clavicembalo che accompagna la voce si mescola ad un gioco musicale saggiamente concepito così come il testo che lascia …. stupiti. Flatus Vocis con l’introduzione che in apertura richiama alla mente Dogs dei Pink Floyd dopo alcuni secondi si avvia, tra synth e coro, ad innestare un pianoforte tipicamente d’atmosfera che ci fa pensare al grande Banco e non è casuale la presenza di Vittorio Nocenzi in questo lavoro che ha condiviso l’idea di fondo. Probabilmente se ci fosse stato ancora Francesco Di Giacomo, gli autori avrebbero pensato a qualcosa di unico, come lo è tutto questo disco, pieno di suoni indistinti che fanno pensare a tutta una serie di domande che l’uomo pone a Dio ed alle quali Dio non da risposta o non è in grado di darla perché, come intitolato, l’uomo è diventato troppo progressivo anche per il Supremo. E così, quell’uomo cerca rifugio nei sapienti anche se poi è costretto immediatamente a rinunciarvi. Il testo qui è di una schiettezza pura su cui si intersecano note di popular music che lo rendono probabilmente uno dei punti più elevati de L’Uomo Progressivo che qui, in questo brano, sfodera tutta la sua ricercatezza musicale e sonora. Infatti è proprio Contro I Sapienti uno dei pezzi che meglio si addice a tutto questo percorso sonoro. Ciatùn è invece la ricerca di un rifugio nell’amore che l’uomo progressivo non riesce a trovare da troppo tempo. Bella qui tutta la fase musicale che gioca tra jazz e contaminazione prog d’altri tempi, ed un finale affidato a ritmi fantastici  e a un bel gioco canoro. Ascoltare per credere. Il Diavolone torna ad ambientazioni più classicheggianti e ad un pianoforte il cui tocco non può non essere che solo quello di Vittorio Nocenzi, ormai riconoscibile anche alla distanza di anni luce. Probabilmente questo è il brano dell’album che rende a pieno titolo l’idea di trovarsi di fronte ad un dipinto d’altri tempi al cui interno l’uomo di oggi, quello progressivo qui cantato, ricerca il suo essere oggi. Con Dio (Deinde In Obscuris) la necessità di risposta che da sempre l’umanità allo stesso modo dell’uomo progressivo si è posta, non arriva, ed il testo la dice lunga su come, l’uomo che si presenta ai giorni nostri non possa essergli simpatico. Ed il testo è chiarificatore di tutto quanto l’uomo e l’umanità tutta si sono sempre chiesti

Dio, amore immenso, tu così intenso e privo di senso

Dio, Dio dell’Oriente, dell’Occidente, e Dio di niente

Dio, ti prego Dio, tu non sei solo, ci sarei anch’io

Dio, dove sei Dio, tu non sei visibile, ma non sei disponibile

Non sei negoziabile, né rateizzabile, non ti si trova né in cielo né in terra

Né in altro luogo, raggiungibile, quando uno ti cerca, tu non ci sei mai,

ma tutto il giorno che fai? Mbo!

Dio, ti chiamo Iddio, ti abbiamo rotto i coglioni da un pezzo, per cui, adesso, addio

Scusami Dio, tu non sei simpatico, ma nemmeno io!

Come Un Cavaliere Antico poggia su una linea armonica che miscela sapientemente world music ed atmosfere recitative che si intersecano su musiche d’altri tempi ma con uno stile prettamente blueseggiante dove a brillare più di ogni altra cosa è una chitarra acustica che sfodera tutta quell’atmosfera necessaria a sostenere un recitativo cantato con stile quasi primordiale. E’ con Sette Doni che invece siamo in pieno rock in opposition contaminato da un progressive d’alta qualità e da una ricercatezza nello sperimentalismo che a noi piace tanto. E poi le cuciture tra musica e cantato è così sublime da far sì che questo sia uno dei brani che più preferiamo dell’intero lavoro. E non sappiamo fino a quando abbia giocato un ruolo fondamentale l’ispirazione ad un grande Cage. Scommetto è tutta giocata sulla grandezza della band di miscelare vari stili che vanno dal jazz rock alla popular music in un crescendo di pura cromaticità che colpisce con il moog che alla fine, diventa lo strumento principale che rende giustizia ad uno dei migliori brani dell’intero album. Con Shangri-La il progressive torna ad essere predominante grazie alla presenza di una voce fantastica che richiama vecchi fasti. Chiude questo …… capolavoro, perché tale è Le Cose Nell’Aria un grande pezzo che si rifà al nostro miglior cantautorato. Ascoltare per credere. L’Uomo Progressivo non è solo un disco eccezionale, è una vera e propria filosofia di vivere la musica in tutte le sue sfaccettature, un grande album di cui non se ne potrà fare a meno se si vuol capire la vera essenza di quello che è la musica oggi ma anche di cosa sia e cosa siamo diventati, uomini progressivi che cercano di sostituirsi a Dio. E ci piace qui chiudere questa nostra aggiungendo quanto Classic Rock scrive di questo fantastico lavoro: “Uno dei dieci migliori dischi di rock italiano del 2018; un concept album di autentico rock progressivo, che racconta la storia – un po’ acustica e un po’ tragicomica – di un disperato qualsiasi, uno di noi: l’uomo progressivo” (Francesco Coniglio). Ma anche Prog non è da meno: “Unire l’alto e il basso, il sacro e il profano, il rock con la musica popolare, i tempi dispari con il quattro quarti, l’elettronica con un oud o un oboe, l’antichissimo e il futuribile: una perfetta sintesi con un concept che si colloca nella prestigiosa scia dei “viaggi sonori intorno all’uomo” incisi dalla fine dei ’60 ad oggi dai King Crimson ai Pink Floyd fino agli Osanna” (Marco Masoni).

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