The Cure – Bloodflowers

La prima cosa che colpisce di questo Bloodflowers dei The Cure, pubblicato nel 2000, è la forte presenza di atmosfere acustiche che portano i vari brani che compongono l’album verso atmosfere tranquille e quasi rilassate. Eppure, questo lavoro presentato quasi come fosse un addio alle scene, allo stesso modo di tanti altri pubblicati in precedenza, si presenta con un quasi folk stile The Cure, un bel pianoforte baroccheggiante che richiama un po’ i Beatles di Sgt. Pepper’s ed un nuovo volto dei The Cure che, ancora una volta, spiazzano. Certo, anche qui il vero punto forte dell’album è la title track perché è lì, in Booldflowers, che c’è tutta la vena malinconica di Robert Smith e della band. Bloodflowers è il ritratto di un Robert Smith ormai maturo ma è anche un lavoro caratterizzato da quelli che sono i migliori The Cure a livello sia musicale che canoro. A dispetto delle precedenti produzioni della band inglese, Bloodflowers è un disco che dimostra appieno la maturità di Robert Smith & C.; ci sono meno tastiere e gli arrangiamenti di chitarra hanno quel qualcosa in più che lascia trapelare un nuovo modello di The Cure. Ballate acustiche come Out Of This World, primo pezzo in sequenza, sono già capaci di far intendere a chi ascolta a cosa ci si trova di fronte, una forte presenza di psichedelia che qui è omaggiata come si merita. E la chitarra acustica viene sempre rivalutata in pezzi come Maybe Someday, ed in altri, lasciando intravedere una stabilità da parte di quel Smith che qui sembra quasi rinnegare un po’ le atmosfere dark alle quali ci ha abituato, anche se poi, sono proprio quelle atmosfere a riemerge in brani come 39 o nella bellissima Bloodflowers . Ma quando un album è bello non ci sono parole o paragoni che tengano. Bloodflowers è probabilmente insieme a Disintegration il migliore dei lavori della band inglese, un lavoro concepito con genialità ma anche con tanta semplicità che è spesso difficile riscontrare nei The Cure. Il bello poi è il fatto che con Bloodflowers la band di Smith mette da parte seduzioni che mirano alle vendite ed alle classifiche, concentrando il tutto sulla musicalità e su splendide ballate che rendono “unico” questo lavoro, almeno per noi. Bloodflowers emoziona come la prima volta che si ascolta la band inglese, carico di oscurità ed angoscia, come lo sono sempre state le composizioni di questa band ma, al di là di tutte le considerazioni che si possono fare sui musicisti inglesi, dei loro alti e bassi in carriera, i The Cure restano sempre il fascino oscuro e malinconico del rock. C’è poco da dire ancora su questo lavoro se non aggiungere che dischi così ce ne son pochi in giro.

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