MERCURY REV – Deserter’s Songs

Tra sogno, psychedelìa, sperimentalismo ed armonia, ecco un disco che nel 1998 fu quasi un’apripista per nuovi sviluppi musicali da parte di altre band che in quel periodo …. viaggiavano con la mente, il cuore ed il rock

Sinfonismi da brividi, atmosfere rarefatte che viaggiano tra psychedelia ed armonia, un certo che di british ed eccoci di fronte ad un lavoro che sprigiona bellezza musicale e testuale, semplice, colorato, indefinibile.  Deserter’s Songs non è un semplice disco ma qualcosa di più, quel qualcosa che va oltre ogni convinzione ineludibile. Ed è così che il brano di apertura, Holes  si snoda tra passaggi sonori che fanno immaginare grandi distese, praterie ma anche…sogni. Ed Holes fa assaporare il passaggio del tempo, che non è più tale ma diventa eternità, fiaba, sogno vissute tutte tra mosche, talpe e quelle visioni quasi celestiali che continuamente cerchiamo durante le nostre affannose giornate. Eppure il fatto che questo disco risalga niente poco di meno al 1998 la dice tutta sulla validità del progetto che ha lasciato molti degli addetti ai lavori esterrefatti e … allucinati dalla bellezza della produzione dei Mercury Rev.  A conferma di ciò è sufficiente ascoltare il secondo pezzo di questo Deserter’s Songs, Tonite It Shows,  brano che pian piano si dilata rendendo questo pezzo quasi una colonna sonora dove c’è, almeno così la immaginiamo in questo momento, una innocente bambina che sogna di giocare con i suoi peluche preferiti, quelli che i grandi le hanno tolto, il tutto condito da reconditi passaggi musicali d’altri tempi. Endlessly  sembra essere una ninna nanna che tra voce e flauto richiama atmosfere che tutti, bene o male, riconosciamo come ad esempio quelle tipicamente natalizie. Un pezzo fuori dai canoni ma che è accomunato da familiarità musicali note a tutti. Ed accade che dopo il piccolo intermezzo di I Collect Coins, si giunge ad Opus 40  che conduce ad atmosfere beatlesiane da Sgt. Peppers, antesignano di quasi tutta la psichedelìa, che diventa anche un pezzo da far girare in radio quasi come una hit. Canzone semplice, leggera ed in un certo senso preconfenzionata. Hudson Line  rende il sassofono protagonista assoluto del brano, un sax che si nutre così come tutti gli altri strumenti in questo pezzo dello sperimentalismo spinto dei Mercury Rev che è condito con un rock vecchia maniera dove, alla fine, le tastiere dell’organo stupiscono per il modo in cui si propongono. L’effetto è davvero una sorpresa che pone questo pezzo tra i migliori in assoluto di Deserter’s Songs perché tra l’altro esalta con il suo funky-jazz-rock suonato in maniera perfetta. Happy End (The Drunk Room) è un pezzo di breve durata che pone in evidenza il pianoforte ed un certo sperimentalismo alla Cage, una specie di sontuosa ricerca tra suoni metallici e voci che la dice lunga su questa band che si pone l’obiettivo primario di essere sè stessa fino in fondo. Con Goddess on a Hiway ci sembra di avvicinarci ad atmosfere alla Neil Young, ma nonostante un testo volgare, la spinta del sound è talmente tale ed armonioso da inserirlo nei brani che più ci son piaciuti di questo lavoro.  Con The Funny Bird siamo invece di fronte ad una dei pezzi che più di ogni altro ci hanno entusiasmato nonostante la tendenza ad un elettrorock comunque da assaporare. Dopo tanti bei pezzi però, siamo ora giunti al culmine con uno dei passaggi più psichedelici dell’intero album, quel Pick Up If You’re There che diventa anche ricerca e sperimentazione. Chiude Delta Sun Bottleneck Stomp un vero e proprio funk da psichedelìa che guarda un po’ oltre…ed un po’ indietro.  Per quanto i Mercury Rev tendano a realizzare una musica che strizza l’occhio ad una certa scuola cantautoriale americana, resta il fatto che con questo disco centrano diversi obiettivi che fanno della loro musica passaggi fondamentali per capire come, sperimentalismo e rock possano essere coniugati perfettamente insieme.

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